L'uomo del Giusto Mezzo è la via
I musulmani stanno attraversando una delle crisi più gravi della loro storia. Dall'interno, il fondamentalismo e le sette estremiste costruite ad arte, cavalli di Troia, usurpano il nome dell'Islam e diffondono il nichilismo. Dall'esterno si abbattono su di loro strategie di dominio e di divisione. In questo contesto, alcuni discorsi devianti li denigrano e stigmatizzano. Per affrontare le sfide, i musulmani devono riconnettersi con la via mediana. Di cosa si tratta?
Il giusto mezzo, la medianità
Per garantire la resilienza, il mio paradigma è chiaro: tenersi a distanza dalle posizioni estremiste votate al fallimento: quella di chiusura (integralismo-fondamentalismo) e quella di diluizione (materialismo-storicismo), per forgiare un'umanità aperta, equilibrata ed equa. Il mondo ha bisogno della via mediana, che è l'umanesimo. Vi si possono ritrovare monoteismi e altre culture. Ogni volta che ci allontaniamo da al-wassat, la medianità, sorgono catastrofi.
Un nuovo orizzonte di fratellanza umana è possibile. Basta visitare tante associazioni impegnate a viverla insieme per rendersi conto che gli uomini attendono il respiro dell'essere comune giusto. Wassat, la medianità, qualifica i musulmani per come dovrebbero essere: "E’ così che abbiamo fatto di voi una comunità del giusto mezzo (mediana) ..." (Corano 2.143). Questo versetto dovrebbe essere letto in relazione ad altri, come quello che, senza monopolizzare il vero, rivela che i musulmani sulla base della medianità, possono essere elevati: "Voi siete la migliore comunità che sia stata suscitata gli uomini, raccomandate le buone consuetudini e proibite ci che è riprovevole e credete in Dio” (Corano 3.110). La medianità è legata alla giustezza. Dobbiamo meritarci questa qualità, essa ha delle condizioni. La raccomandazione per il bene è primariamente rivolta verso se stessi.
Il termine wassat è polisemico. Significa: la medianità, il giusto, l’equità, il migliore, il superiore, la qualità, il nobile, l'eccellenza, il centro, il cuore, il mezzo, la dirittura, la rettitudine. Il dizionario "Lissân al' arab" definisce wassat come il migliore. La nozione di Umma, comunità spirituale, significa l’insieme dei credenti musulmani, al di là delle loro origini etniche, culturali e nazionali. Non esclude l'idea di popolo, patria, nazione, cittadinanza, la diversità delle situazioni, né la pluralità delle appartenenze e delle opinioni.
La Umma vuole essere aperta a tutte le altre dimensioni e a tutte le comunità religiose e culturali, per rivolgersi alla comunità globale: tutta l'umanità. Si riferisce anche all'idea simbolica di Matrice, l'essere comune. In questa direzione, la speranza può venire dalle donne, perché portano il senso dell'interiorità, la difesa della vita e il desiderio di pace. Molti pensatori si sono occupati della questione della via mediana. Abu Hamid Ghazali (1058-1111) nelle "Rivificazione delle scienze della religione" la definisce come l’eccellenza e Ibn Khaldoun (1332-1406) nella sua opera fondatrice di sociologia "Muqadima" la collega alla civiltà.
Ibn Arabi (1165-1240) nel capitolo della sua opera Futûhât, dove analizza la sura al-'asr, preghiera di mezzo, tratta del giusto mezzo, che secondo questo grande maestro mistico preserva l'Uomo da ogni deviazione: “Riguardo al credente esemplare... rimane libero da ogni influenza... la spiritualità attraverso le buone azioni raggiunge la piena sobrietà (fî ghâyat al-sahw), seguendo l'esempio degli Inviati. L'uomo del giusto mezzo, come il Profeta, è umile e sobrio. Egli testimonia, ma non cerca di brillare o imporre il suo punto di vista, né di mostrare le sue qualità spirituali.
La discrezione dell’uomo del giusto mezzo è per Ibn Arabi il segno dell'elevazione spirituale, caratteristica degli eredi del Profeta. Umiltà e non dissimulazione, il conoscitore, 'arif, trascende le apparenze. La conoscenza che Dio concede a coloro che ama, in questi tempi moderni rimane accessibile a coloro che aderiscono all'interiorità, alla fiducia e alla pazienza. “Adora Dio come se lo vedessi, perché se tu non Lo vedi Lui ti vede” queste parole profetiche, partecipano del soffio che non deve lasciare il credente, per non perdere la speranza della misericordia e per tendere all'eccellenza.
Attraverso la via del giusto mezzo l'Islam riscoprirà il suo significato, lontano dalle strumentalizzazioni e dalle ideologie settarie. Il concetto di medianità, wassatiya, è il più importante teologicamente, dopo quello di Tawhid, l'Unicità di Dio. Si basa sull'idea dell'equilibrio, della moderazione, della misura, del rifiuto di ogni eccesso, di ogni disperazione e di ogni idolatria. Richiama ad esserne degni. In questo senso, l'Islam è secolare e favorisce la formazione di una coscienza cittadina. L’Islam distingue e articola. Offre il modello dell'uomo del giusto mezzo ed in particolare la possibilità di trovare un equilibrio tra l’autonomia dell'individuo e vita nella società, tra origine e divenire, tra rigore e misericordia.
La funzione del legame sociale che la religione instaura è quella di favorire la conoscenza reciproca, condizione per la coesistenza. Il Corano e la Sunnah definiscono il musulmano allo stesso tempo come un essere razionale, un essere spirituale, un essere sociale. Questa è una visione chiara, che mira all'equilibrio, all'articolazione e alla complementarità tra le dimensioni essenziali dell'esistenza. Negare uno di questi aspetti, crea squilibri.
L’uomo può sprofondare se gli manca una di queste parti. Per rompere i vicoli ciechi del fondamentalismo e del materialismo, l'uomo del giusto mezzo è la via.
La prospettiva mediana necessita di una visione elevata, della rettitudine, non restare al centro tra posizioni contraddittorie, ma il loro superamento, per scegliere sempre l'apertura rispetto alla chiusura. Il Corano mira alla sottigliezza: "In verità, il mio Signore è Sottile in ciò che vuole" (12.100). Questo sfugge sia ai razionalisti che ai fondamentalisti. La modernità può essere declinata diversamente dalla dittatura del mercato, dal razionalismo astratto e dalla logica della separazione. "La vita dell’al di là è migliore per te che la vita quaggiù" (93,4) proclama il Corano, ma nello stesso tempo specifica: "Non dimenticare la tua parte in questo basso mondo" (28,77).
Distinzione, legame e complementarità caratterizzano la visione. Per interpretare un principio di diritto nel Corano, due norme devono essere collegate, nella traduzione del metodo medio: azm al umur, il requisito etico, e rukhça, l'attenuazione benevola.
Anche per la recitazione del Corano, si raccomanda la moderazione: "Durante la preghiera non recitare ad alta voce e neppure in sordina, cerca piuttosto una via mediana” (17.110).
Wassat orienta verso la pratica del culto interiore per elevarsi spiritualmente. Presenza e flessibilità si combinano. Essere un credente del giusto mezzo non è solo praticare, ma fare il bene: "La verità è che chi confida nella divina Volontà facendo il bene, è colui che riceverà la sua ricompensa e non dovrà provare né paura né dolore"(Corano 2.112).
Né rigorismo, né lassismo; né individualismo né comunitarismo. L'Islam distingue e collega le dimensioni essenziali dell'esistenza, attraversate dalle tensioni: l'individuo e la società, la religione e il mondo, il corpo e lo spirito, la libertà e la legge. Unicità di Dio, molteplicità degli esseri, unità dell'umanità, molteplicità di razze, culture, lingue ed esperienze, unità di significato e diversità di comprensioni.
Tutti i valori dell’Islam sono basati sul giusto mezzo, quindi l'estremismo è anti-Islam. La via di mezzo nasconde una dinamica di vita che è quella di rimettere costantemente l'umanità verso più Umanità.
Uscire dalla deriva storicista
L'Islam viene misconosciuto e distorto. Non sono solo gli oscurantisti politico-religiosi che si oppongono alla visione mediana. Lo storicismo, insieme al razionalismo (che non è razionalità), l'ateismo dogmatico antireligioso (che non è il libero atto del non credere), l'ideologia edonistica (che non è erotismo e arte dei sensi), il liberalismo selvaggio (che è non l'economia moderna), corrompono le opinioni e squilibrano l'umano. Lo storicismo reinterpreta la storia secondo laprospettivadei pregiudizi odierni e nella modalità del relativismo. Nega che il significato e il valore delle credenze si basino su riferimenti universali e trascendenti. La crisi oggi per tutti i popoli è la difficoltà di articolare il vecchio e il nuovo, il permanente e il divenire.
La lettura fondamentalista congela i significati simbolici della rivelazione e rifiuta il significato dell'evoluzione; d'altra parte, l'atteggiamento storicista nega la dimensione trascendente, le norme invariabili e, senza ancorarsi, applica griglie di lettura riduttive. Entrambi partecipano alla crisi di civiltà. La posizione storicista travolge i musulmani e ne mette in discussione i valori fondamentali, con il pretesto della riforma. I cittadini di fede musulmanasono esasperati dalle molestie.È tempo di allertare le coscienze, perché non è più il radicalismo a essere denunciato, sono i riferimenti fondanti, il Corano, il Profeta, la spiritualità, ad essere caricaturali.
Invece di unire, unificare i nostri sforzi per respingere le minacce: la contraffazione dell'Islam, l'estremismo da un lato, e la xenofobia, l'islamofobia dall'altro; l'atteggiamento storicista fa sentire i musulmani in colpa. Chiede non solo di denunciare il terrorismo commesso abusivamente in nome dell'Islam, ma di negare se stessi, di accettare il conformismo dell'egemonia culturale, allontanandosi dalle tradizioni autentiche, aderendo a norme "moderniste", assolutizzate, considerate come l'unica via per l'emancipazione.
Sono molte le forme di alienazione, il complesso di inferiorità e l'odio verso se stessi. L'approccio storicista è avvolto nelle virtù della "lettura critica", della "modernità", delle "scienze sociali".
Bisogna assumere scientificità, spirito critico e di riforma, ma per recuperare il giusto mezzo rifiutando la disumanizzazione, la mercificazione del mondo e il compiacimento con cui si parla dei musulmani, come se potessero raggiungere una dignità possibile solo nella misura in cui negano loro stessi.
Mentre la posizione storicista non è riuscita a comprendere la religione, rinnovare il pensiero islamico e soddisfare i bisogni dei musulmani, i suoi sostenitori chiedono ai musulmani di essere autocritici. L'appello sembra essere legittimo, ma è fuorviante. In primo luogo, nove su dieci vittime del terrorismo sono musulmani, in secondo luogo, non c'è pace senza giustizia.
In terzo luogo, la via muhammadiana insegna che bisogna esaminare la propria coscienza e praticare il distacco per progredire. L'autocritica è vitale, dobbiamo uscire dal vittimismo, certo, ma dobbiamo sapere da dove e in nome di cosa critichiamo? Altrimenti, resteremo inascoltati e i giovani che hanno perso il loro orientamento continueranno a cadere nel vuoto e in vicoli ciechi suicidi.
Tra i discorsi che in ogni circostanza fanno sentire colpevoli i musulmani, vengono proposte ricette informi, come un "auto islam", e persino, ammesso esplicitamente, "uscire dalla religione"! Abdenour Bidar, "Lettera aperta al mondo musulmano".
Questa negazione della religione, o tentativo di sottoporla al filtro dell'assimilazione, della spersonalizzazione, del modernismo dogmatico, della modernità del dominante, alimenta il manicheismo, il cosiddetto "scontro di civiltà" e perpetua la visione etnocentrica, come quella del XIX secolo dell'orientalista Ernest Renan, paladino del razzismo. Mentre, così come l'inquisizione non è nel Vangelo, il terrorismo non è nel Corano, si afferma che la mostruosità sarebbe nata dall'Islam, oscurando il carattere nuovo del fenomeno e la responsabilità di manipolazioni straniere Op. cit..
In questo clima deleterio, assistiamo addirittura agli attacchi di commentatori considerati moderati, che pretendono di praticare l'ermeneutica e la riflessione critica sul passato. I più recenti Rachid Benzine, Oumma.com 16.10.2014 tentano di rimettere in discussione il principio assiale della “comunità mediana”. Affermando che il Corano non definisce la Umma come quella del giusto mezzo, la comunità mediana, ampiamente definita, asserisce che si tratta di un concetto legato ad un contesto obsoleto. Forse in preda al panico al pensiero che la comunità musulmana sia qualificata come ben guidata.
Il termine Umma non include una buona guida. Una comunità può, come sottolineato dal Corano, essere fuorviata e oppressiva. È il termine wassat che indica appunto chi è ben guidato e giusto, poiché mediano, centrato, equilibrato, moderato. Mentre la nozione chiave e globale di wassat, che fa riferimento al non estremismo, alla moderazione e alla saggezza, costituisce il cuore dell'insegnamento coranico e profetico, l'approccio storicista lo riduce arbitrariamente alla sola questione di "qibla" (orientamento verso la Mecca). Esso afferma brutalmente che la medianità, il giusto mezzo, la moderazione, la tolleranza, non erano le preoccupazioni dei primi uomini dell'Islam Op. cit.. Questa visione errata sostiene addirittura che la nozione di "Islam" sia un'elaborazione successiva all’epoca profetica.
Nessuna religione o comunità può sottrarsi alla critica, ma l'atteggiamento di stampo positivista non coglie la peculiarità del Corano, avvicinandosi ad esso come si seziona un semplice archivio, ossessionati dallo storicismo. Confessando impotenza, cerca di relativizzare la Rivelazione, sognando di correggerla invece di interpretarla in profondità, come un Libro aperto.
In un momento in cui abbiamo bisogno di pensiero meditativo, un respiro spirituale umanizzante, la simbiosi tra autenticità e progresso, lo stato di diritto, il buon governo, la linea del giusto mezzo per combattere l'oscurantismo dei perduti, "il musulmano a volte è una dimostrazione contro la sua religione”, affermava l'emiro Abd al-Qadir; lo storicismo sconvolge il campo della conoscenza, produce incomprensioni ed estremismo.
Con un'adeguata visione epistemologica è possibile porre fine a pregiudizi ed errori: «Non sono ciechi gli sguardi, ma sono ciechi i cuori che stanno nei petti» (Corano 22,46).
Aprire alla conoscenza, costruire un approccio transdisciplinare, andare oltre la realtà ordinaria è la via del futuro. Non è la religione a fomentare la violenza indiscriminata. Ci sono solo persone patologiche che la usano per riversare il loro odio. Contrariamente alle apparenze, a causa dell'amplificazione mediatica di fenomeni retrogradi, il musulmano non confonde religione (significato) e politica (libertà), e non vi si oppone. Viene riconosciuto il diritto di essere diversi e il diritto di criticare o addirittura abbandonare l'Islam. Questi diritti, oscurati dai giureconsulti, sono dati dal Corano. Non sono un sacrilegio, anche ai tempi del Profeta, "crede chi vuole, non crede chi vuole" precisa il Corano, cosa si può dire oggi in un mondo iper-secolarizzato? Quello che i musulmani rifiutano è la confusione.
La confusione, un diversivo
La confusione tra estremismo e islam è un diversivo che occulta la crisi del mondo moderno, la crudeltà del liberalismo selvaggio, i fallimenti dell'ateismo dogmatico, l'ignoranza. Chi ne trae vantaggio? I nemici della convivenza, della pace e della democrazia, a tutti coloro che vogliono i disordini e i conflitti in mezzo ai quali ci troviamo. Le religioni nella violenza del nostro tempo sono dei pretesti, delle maschere, delle vittime. Sono strumentalizzate. Lo stato del mondo non è una questione religiosa, tutto il mondo lo sa, è una questione politica ed economica. Per non prestare il fianco e ritrovare il loro posto, i musulmani devono dare priorità all'educazione: "Sono stato inviato per affinare i caratteri, (umanizzare, educare)" ha detto il Profeta.
Nulla dovrebbe lasciare dubbi sul carattere ingiustificabile del fondamentalismo. Criticarlo, denunciarlo, rifiutarlo è un dovere. Tuttavia, bisogna guardarsi dalla confusione, dall'essenzialismo che lo alimenta: "Dio non ordina mai cattive azioni". (Corano 7-28) Parlare di "La malattia dell'Islam" bdelwahab Meddeb "la malattia dell'Islam", La soglia, di "deficienze" A. Meddeb, Le Monde 16. 12. 2012 originali e di "forze di distruzione, di cui (l'Islam) è sia la fonte che il bersaglio" Fethi Benslama "Manifesto per le libertà", del “pensiero fossile… codificato dal Corano” Malek Chebel “Per un Islam illuminista”, Hachette, e proporre “Come uscire dalla religione?” Abdenour Bidar, “Come uscire dalla religione? ", Discovery, seminano l'idea disastrosa che il Corano non può essere esentato dalle azioni mortali invocate in suo nome. Queste accuse fanno il gioco degli estremisti e del disordine globale.
Certamente le società musulmane sono per la maggior parte in uno stato deplorevole e devono riformarsi dall'interno, ma il mondo musulmano non è omogeneo e la responsabilità è condivisa, tra questo e l'Occidente, mondi intrecciati. Ci sono cause interne ed esterne alle derive. Tra i musulmani che si chiudono nel vittimismo e quelli che li opprimono, c'è un'altra realtà. Di fronte alle difficoltà, l'Islam responsabilizza e richiama al giusto mezzo per difendersi da esse. La Parola coranica non è fatta in modo che i credenti non si accorgano di ciò che è sbagliato, al contrario, li risveglia.
Le religioni a livello pratico sono costruzioni umane. Esse hanno le loro evoluzioni, i loro successi e fallimenti. Dobbiamo pensare a questo e distinguere tra Islam e musulmani. Il Libro è al di sopra di ogni sospetto e soggetto ad un'interpretazione umana e fallace. La religione è un insieme di pratiche che meritano di essere messe in discussione. Queste possono essere salvifiche o testimoniare una patologia. Non confondiamo ma analizziamo cosa può portare all'oscurantismo, tenendo conto delle manipolazioni geopolitiche. Non possiamo togliere la responsabilità agli estremisti, tanto meno spiegare i loro crimini a partire dal testo coranico. Al contrario, devono essere smentiti in nome del Corano e della Sunnah profetica.
Il Corano dice di sé stesso che è un "Messaggio chiaro", rivelato gradualmente, dal Maestro dei mondi, Parola discesa dall'Infinito sul cuore del Profeta, in linguaggio umano, come Guida. Spiega che nulla è imposto: "Nessuna costrizione nella religione" (2.256), né nulla è dato in anticipo: "Non ragionate dunque?" (10.16). Il Libro è aperto e inesauribile. Rispetta la libertà umana, tiene conto della condizione terrena, si indirizza alla ragione e al cuore. Fare lo sforzo, mettersi in ascolto per interiorizzarlo, attualizzarlo, questa è l'esigenza di un'educazione aperta, di un pensiero teologico della misura. Cogliendo la pedagogia divina, discernendo ciò che nel Testo Sacro è chiaro, valido in ogni tempo e in ogni luogo, da ciò che è variabile, in evoluzione e misterioso.
Tenere conto del contesto, delle cause della Rivelazione e utilizzare i risultati delle scienze sociali e umane non è vano, ma i "modernisti" sono diventatiinascoltabili. Nella loro visione o interpretazione falsa e ingannevole della realtà manca la comprensione della religione, della fede, della spiritualità. Il loro "Islam delle luci” non è credibile. E' una parodia cieca, al posto della luce universale legata alla via abramitica e Muhammadiana. Di conseguenza, sono controproducenti e lasciano campo libero a predicatori rigorosi e propagandisti politico-religiosi.
Contrariamente a quanto sostengono, è la linea del giusto mezzo alla quale dobbiamo attenerci, che unisce il meglio dell'Occidente e dell'Oriente, tenendoci a distanza dalle loro derive. I musulmani devono assumersi le proprie responsabilità, non comportarsi come i radicali che rifiutano il principio interpretativo, o come gli storicisti che, impotenti di fronte al Testo, optano per il relativismo e passano ideologicamente dall'atteggiamento areligioso a quello antireligioso. I grandi intellettuali musulmani della generazione che ci ha preceduto, pur iscrivendosi nella prospettiva della modernità e negli strumenti critici della filosofia, malgrado si possa talvolta avere delle divergenze, non hanno servito male la loro comunità Mohamed Jabiri, Abdellah Laroui, Mohamed Arkoun, Hichem Djait.
Islamologi non musulmani di primo piano del secolo scorso, come Jacques Berque, hanno messo in discussione il Corano, rispettandone il carattere venerabile. Intellettuali obiettivi in nome dei diritti umani e di una laicità ben intesa difendono i musulmani, come in passato Émile Zola per gli ebrei Edwy Plenel, Pascal Boniface, Alain Gresh, Jean Bauberot, Vincent Geisser.
Una cultura musulmana aperta, progressista e sovrana è possibile. La storia lo dimostra. La convivenza trionferà, evitando la parodia cieca, ponendo l'accento su una deontologia della conoscenza, una teologia al servizio della comunità e del bene quotidiano, in dialogo con tutti coloro che difendono la giustizia. La via dell’uomo del giusto mezzo è offerta a tutta l'umanità, ad essa aspirano altre culture. Mette in luce i valori condivisi. Chi non sa da dove viene non sa dove sta andando. Non lasciamoci sviare. Trovare la medianità è alla nostra portata, come esseri dotati di ragione e di cuore, per vivere insieme.
Mustapha Cherif, filosofo e teologo, professore universitario, vincitore nel 2013 del premio Unesco per il dialogo delle culture, autore in particolare di, “Il principio del giusto mezzo” edizione Albouraq, Parigi 2013 Appunti.