Ritrovare il Ben dell’Intelletto
Considerazioni in seguito ai recenti attacchi terroristici
I recenti atti di violenza terroristica che hanno scosso tutto il mondo e che hanno colpito nazioni dell’Oriente e dell’Occidente dalla Francia all’Etiopia, dalla Nigeria all’Afghanistan, dall’Austria al Camerun, si sono manifestati in concomitanza con la “seconda ondata” della pandemia che, già da tempo, affligge indistintamente tutto il pianeta.
Questa la convulsa cronistoria degli eventi: il Presidente della Repubblica Francese tiene un discorso pubblico contro il “separatismo islamico” invitando i musulmani di Francia ad aderire ai 5 pilastri di un “Islam dei Lumi” disegnato dal Presidente stesso. A pochi giorni di distanza, un docente di storia ha mostrato ai suoi alunni delle vignette offensive nei confronti del Profeta dell’Islam ed è stato decapitato da un terrorista. Successivamente a Nizza, nella chiesa di Notre Dame, dei fedeli sono stati decapitati e a Vienna un attentatore ha ucciso dei passanti prima di essere giustiziato. Grande clamore ha percorso l’Europa a seguito di questi eventi. Nulla è stata invece la sensibilità degli europei per l’attacco di un terrorista suicida all’Università di Kabul a e per gli attentati che venivano frattanto compiuti in Camerun e in Etiopia.
Je suis… l’Empire à la fin de la décadence
Ai barbarici attacchi, l’Occidente ha reagito in modo languido e più sentimentalmente che intellettualmente. Senza alcun senso della misura, si sono dimenticati per settimane i problemi sanitari e si è risposto autocelebrando il modello di secolarizzazione francese. Istituzioni pubbliche e cittadini si sono posti sotto l’egida del refrain “Je suis Samuel”, “Je suis enseignant”, come, negli anni precedenti era stato per “Je suis Charlie”. Ci si identifica cioè con la vittima, qualsiasi essa sia. Questa la conditio sine qua non per incarnare la vera reazione agli scatenamenti della violenza terrorista.
Quel “Je suis” riecheggia però i versi del poeta francese che si compiaceva della sua decadenza che avveniva mentre il mondo crollava sotto i colpi dei barbari, ma non sapeva e non voleva reagire né contro i barbari né contro se stesso.
Se non identificarsi con il professore ucciso equivale a parteggiare per i terroristi, allora va da sé che, per prima cosa, tutti i musulmani che vorranno dire qualcosa dovranno a comando condannare gli attentati. Come se un siciliano, prima di dire qualunque cosa, dovesse condannare la mafia. Se non lo facesse, sarebbe automaticamente un mafioso. Certo, si potrebbe dire che se uno non è mafioso non dovrebbe avere problemi a prendere le distanze dalla mafia. In effetti è così, ma non dovrebbe condannarla per complicità con qualcun altro, pena la perdita della libertà di espressione. Non c’è forse un’alterigia in colui che si riserva di concedere lo scettro della parola solo a chi si associ a lui o aderisca ai propri canoni?
Eppure una reazione su più livelli c’è stata
In modo concorde il mondo istituzionale islamico ha condannato fermamente gli atti di efferata violenza, non limitandosi a dichiarazioni di facciata, utili solo a placare le paure subitanee, ma inefficaci e sterili se prive di una prospettiva. Sono state infatti indicate delle vie di rinnovamento del dialogo interreligioso ed è stata sostenuta la necessità di collaborare responsabilmente con le istituzioni per la prevenzione dei fenomeni di radicalismo.
In Francia l’IHEI, l’Institut des Hautes Etudes Islamiques, ha definito “crimine abominevole” quanto avvenuto a Nizza, soprattutto se si considera che è accaduto in concomitanza con due importanti ricorrenze religiose: la festa di Ognissanti e il Mawlud, la ricorrenza della nascita del Profeta Muhammad. Accanto alla condanna, l’IHEI richiama al discernimento necessario per distinguere “tra veri credenti e impostori, tra cittadini musulmani che vivono la loro fede nella pace e nella dignità e una banda di criminali”.
A proposito dell’attacco di Vienna, il CICI (Grande Moschea di Roma) parla di “reati inaccettabili”, e definisce “gesto satanico” l’attacco, ma va oltre, esortando “ad impegnarci nel debellare preventivamente queste azioni diaboliche al momento della loro semina e germinazione”. “L’Islam – si legge nel comunicato del CICI – ha sempre proibito l’oltraggio, l’ingiuria e l’aggressione verso qualunque anima, considerando ciò uno dei maggiori crimini, perché essa appartiene ad Allah solamente”. La Grande Moschea di Roma invita a vedere “dei segnali per tutti” di invito alla riflessione sulle ingerenze estere che possono esservi in fenomeni di violenza, sulla necessità del dialogo interreligioso, che è fruttuoso se nasce all’interno di un contesto di libertà di espressione – dunque anche religiosa – e richiama a “una sincera aspirazione alla convivenza pacifica che si eriga a barriera contro l’oscurantismo, l’odio e la violenza”.
In Francia, il rettore Chamsuddin Hafiz della Grande Moschea di Parigi e Kamel Kebtane, rettore dell’IFCM di Lione hanno ribadito la necessità di una collaborazione tra Islam e istituzioni senza ingerenze e nel rispetto della libertà di culto. A livello europeo, EULEMA, il Consiglio di Leader Religiosi Musulmani d’Europa, di cui fanno parte, tra gli altri, l’imam italiano Yahya Pallavicini, sostiene “il principio europeo di unità nella diversità, senza estremismi apologetici o discriminazioni comunitariste, senza omologazioni o sincretismi, nel profondo rispetto e dialogo con le diverse dottrine religiose, le differenti interpretazioni teologiche, giuridiche e culturali”. EULEMA ricorda che: “sarà fondamentale investire anche in programmi e progetti di dialogo interreligioso e di educazione interculturale”, sostenendo che: “questa ci sembra la via più illuminata per educare all’amore della patria, soprattutto perché siamo convinti che l’amore sincero e spontaneo non possa mai essere frutto di una costrizione indotta da un baratto di favori asimmetrici”.
Per una reazione intellettuale
A seguito delle dichiarazioni del Presidente francese sul separatismo islamico, arrivate a pochi giorni dalla celebrazione del Mawlud, il giorno della nascita del Profeta Muhammad, in Oriente, dall’Indonesia al Pakistan all’Egitto, milioni di musulmani hanno manifestato contro l’ingerenza di una Repubblica che si pretende laica e che vuole modificare le dottrine religiose. Decise sono state inoltre le reazioni dei musulmani alle vignette offensive e all’atteggiamento di chi equipara la libertà di culto, di parola e di satira al turpiloquio.
Così come il cielo e la terra, la religione e il secolarismo non sono sullo stesso piano, così non sono sullo stesso piano le manifestazioni di elogio della Repubblica e quelle di protesta pacifica contro Macron. In questi tempi però la riconciliazione si può avere con uno sforzo intellettuale più che con una manifestazione di piazza, pur spontanea e sincera. Manifestare in Oriente non porterà ragionevolezza in Occidente e l’autocelebrazione della Francia non risolverà i problemi dell’Europa, ma anzi li acuirà.
“Non vi è costrizione nella religione” recita il Sacro Corano e dunque non si può impunemente togliere la vita a una creatura di Dio, ma non si possono nemmeno obbligare alla nobiltà gli uomini volgari.
La ratio e la misura che sono propri della tradizione occidentale dovrebbero riconoscere nell’intelletto e non nella “pancia” la modalità di reagire alla violenza del terrorismo. Sentimentalismo e invocazione di uno scontro di civiltà sono due posizioni antitetiche ma solidali, perché muovono entrambe da una reazione scomposta o rancorosa piuttosto che da uno sforzo intellettuale di reale conoscenza.
Non si tratta dunque di distinguere una reazione tramite una manifestazione pacifica da una reazione attraverso leggi più severe. Si tratta invece di chiedersi: “Cosa muove quella reazione?”. Se l’Occidente volesse uscire dal suo autismo e reagire metafisica-mente, allora troverebbe degli interlocutori, non solo affidabili dal punto di vista istituzionale, ma pronti a uno sforzo e a un confronto di natura intellettuale. Se da parte islamica esistono degli interlocutori validi, capaci di proporre delle vie che guardano avanti, perché i governi europei non si affidano a loro per una vera lotta al terrorismo e per un rinnovamento della convivenza civile? Come mai, invece di far recitare a tutti la stessa poesia e di decidere chi può parlare e chi no, il potere temporale non si concede il beneficio del sostegno dell’intellettualità musulmana?
In un comunicato relativo ai fatti di questi giorni, l’IHEI richiama alla necessità di “riflettere per preparare l’avvenire” ricordando che i musulmani di Francia “vivono la loro fede in tutta serenità e nel rispetto delle leggi” e che “essere onesti cittadini francesi è il risultato della loro identità spirituale e non di un adattamento passivo al secolarismo”. Fraternità e solidarietà sono richiamate dal modello profetico: “Servitù spirituale, saggezza della fede, coscienza del sacro e senso di responsabilità davanti a Dio e a tutte le creature: questi sono i tratti essenziali del modello profetico al quale i musulmani sinceri devono conformarsi”.
Su questa linea vi è accordo anche da parte cristiana. Come sostiene in un comunicato di cordoglio per le vittime del terrorismo, non solo in Europa, ma in tutto il mondo, il Presidente del Centro Astalli, P. Camillo Ripamonti: “Dopo i recenti tragici episodi accaduti in Francia, Nigeria e Camerun si aggiungono morti ai morti. Il mondo sembra essere attraversato da un’onda di terrore che spaventa e disorienta. Oggi, più di ieri, siamo chiamati a essere protagonisti di un cambiamento in favore della pace, unica via per curare le ferite di un mondo duramente colpito dalla pandemia. […] Ribadiamo il fermo convincimento che nasce dal quotidiano dialogo della vita con i rifugiati che incontriamo e accogliamo: le religioni sono sempre vie di pace e di vita per tutti. Usarle per spiegare violenze e crimini è profondamente sbagliato oltre che dannoso e non onora le vittime incolpevoli dell’orrore che ogni religione condanna fermamente”.
Se il potere politico avesse un riconoscimento nei confronti dell'autorità spirituale e accettasse un dialogo senza presunzioni, si uscirebbe dalla tentazione di costruire e vivere un mondo ideale o di trovare soluzioni definitive per ogni problema. Senza il bisogno di rispolverare continuamente Hegel, Ibn Khaldun, Averroè e Aristotele, ci si avvierebbe, con uno sforzo intellettuale, alla risoluzione del problema del fanatismo e della convivenza tra cittadini di fedi differenti, senza sapere se si riuscirà a raggiungere lo scopo prefissato, ma quantomeno con l’intenzione di percorrere operativamente una strada aperta a una possibilità di conoscenza e di testimonianza.