Preservare l'identità di Gerusalemme: un dovere e un diritto internazionale legittimo
I recenti tragici eventi a Gerusalemme, e più in generale nei Territori palestinesi occupati, hanno suscitato un'ondata di turbamento in tutto il mondo. È nella sua veste di presidente del Forum of Arab Thought, un'organizzazione intellettuale e panaraba creata nel 1981, che il principe El Hassan Bin Talal, zio dell'attuale re AbdAllah II di Giordania, ha espresso il suo punto di vista sulla situazione. "La cessazione delle ostilità da sola non può portare alla pace", ha affermato il dignitario, per il quale "lo status quo non è più accettabile".
Nessuna città al mondo è così ambita e sacralizzata da più della metà della popolazione mondiale come Gerusalemme, che gode di un posto privilegiato presso i fedeli delle tre religioni monoteiste. Al di là del suo status religioso, Gerusalemme ha una storia molto antica che risale a migliaia di anni prima di Gesù Cristo. Molto prima dell'avvento di Abramo, la città era abitata dai Gebusei. A questo proposito, qualunque sia l'autenticità religiosa della promessa divina fatta ad Abramo di lasciare in eredità la Terra di Canaan ai suoi discendenti, essa non giustifica l'ingiustizia, l'occupazione e la violazione dei diritti naturali dei popoli a vivere in pace e sicurezza nella loro patria.
La sofferenza degli arabi di Gerusalemme, cristiani e musulmani, dura da troppo tempo. Nel 1967, i residenti arabi del quartiere marocchino (Hārat al-Maghāriba, un quartiere storico della Città Vecchia, ndr) furono sfrattati dalle loro case prima che le forze israeliane rasero al suolo completamente l'area. La stessa storia sembra ripetersi da allora, con i recenti eventi a Bab al-Amoud (Porta di Damasco), Silwan e Sheikh Jarrah.
Il silenzio di fronte a gravi violazioni del diritto internazionale ha gravi ripercussioni
Quando, il 27 giugno 1967, Israele ha esteso per decreto il campo di applicazione delle sue leggi e della sua amministrazione alla Città Vecchia e ad altre aree circostanti, ha agito in diretta violazione dell'articolo 43 della Convenzione dell'Aja 1907 che obbliga una potenza occupante a "rispettare, salvo divieto assoluto, le leggi in vigore nel Paese".
Qualsiasi esame imparziale delle misure israeliane, amministrative o di altro tipo, prese in relazione a Gerusalemme mostrerebbe chiaramente la violazione dell'articolo 43, così come gli articoli 56 e 46 della Convenzione dell'Aja. Secondo il primo, «saranno trattati come proprietà privata i beni dei comuni, quelli degli edifici dedicati al culto, alla carità e all'educazione, alle arti e alle scienze, anche se di proprietà dello Stato», e riguardo il secondo, “L’onore ed i diritti della famiglia, la vita delle persone e la proprietà privata, nonché le convinzioni religiose e l'esercizio del culto, devono essere rispettati La proprietà privata non può essere confiscata ”.
Vi sono ampie prove per dimostrare che case ed edifici appartenenti ad arabi e situati alla periferia della città sono stati demoliti o distrutti. Ciò si aggiunge all'espropriazione forzata di terreni e proprietà per scopi non militari, cioè al solo scopo di soddisfare le esigenze abitative degli israeliani. Queste misure stanno destabilizzando, su larga scala, l'equilibrio demografico di Gerusalemme.
Quando l'espropriazione equivale a una confisca, è suscettibile di violare l'articolo 46 che stabilisce che “la proprietà privata deve essere rispettata” e “non può essere confiscata”. Le demolizioni violano chiaramente l'articolo 53 che vieta la distruzione dei beni situati nei Territori occupati. Inoltre, quando adottate come misure punitive, la demolizione o la confisca costituiscono chiaramente una punizione collettiva, un crimine verso il diritto internazionale e una violazione delle disposizioni del diritto internazionale umanitario e dei principi del diritto internazionale consuetudinario.
Restare in silenzio di fronte a queste flagranti violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale ha gravi ripercussioni. La pace e la sicurezza internazionale sono strettamente legate all'impegno dei Paesi membri delle Nazioni Unite a fare rispettare le risoluzioni che condannano gli atti di colonizzazione, il controllo del territorio con la forza e la falsificazione delle verità sul campo. L'annessione dei Territori occupati e la confisca dei beni costituiscono una grave violazione della Carta delle Nazioni Unite e della Convenzioni di Ginevra.
La sostenibilità di uno Stato palestinese in costante minaccia
L'annessione è una chiara violazione del diritto internazionale che esclude, o addirittura considera reato, qualsiasi forma di discriminazione o oppressione di un popolo o di un gruppo etnico nei confronti di un altro. Per quanto riguarda la situazione in Cisgiordania, questa è stata descritta dalle Nazioni Unite, da B'Tselem e da altri come la costruzione di una segregazione razziale. Tra le terribili conseguenze dell'annessione c'è lo squilibrio demografico che sta emergendo nella Cisgiordania occupata. Molti palestinesi non lasceranno né la loro terra né le loro case di propria iniziativa, né le abbandoneranno senza dare prova di resistenza.
A meno che l'annessione non venga interrotta, la sostenibilità di uno stato palestinese continuerà a essere minacciata. I restanti territori della Cisgiordania, non annessi da Israele, non permetteranno ai palestinesi di stabilire il loro stato indipendente. La colonizzazione trasforma la Cisgiordania in un "Bantustan palestinese" composto da territori separati, completamente circondato dalle terre dello Stato di Israele e privo di ogni collegamento con il mondo esterno. Questo fatto trasforma tutti gli sforzi internazionali, e anche quelli di alcune forze politiche israeliane, volti all'applicazione della soluzione dei due Stati in una sorta di sogno irrealizzabile poiché i sistemi politici e costituzionali non consentono la dichiarazione di uno stato le cui terre sono dislocate e isolate le une dalle altre.
La cessazione delle ostilità da sola non può portare alla pace
Quando la rabbia, la frustrazione, la disperazione, decenni di umiliazioni e discriminazioni hanno la precedenza sul resto, non possono che sfociare in atti di violenza. Tuttavia, la violenza non può e non deve mai essere la risposta alla violenza altrui, anche quando tale violenza viene compiuta impunemente. La Palestina è la triste storia di un popolo sempre più solo attanagliato da un'ingiustizia quasi perpetua, i cui momenti di speranza sono spesso infranti da politiche bellicose e sconsiderate. Il bilancio degli ultimi giorni - il numero delle vittime ingiustificato, le menti traumatizzate, il futuro in frantumi dei giovani - allontana ulteriormente le opportunità non violente di cambiamento.
La regione vive attualmente una situazione di tensione senza precedenti. La pace e la vita sociale sono state poste in fondo alla lista delle priorità. La pressione internazionale è vitale per porre fine alla violenza da entrambe le parti; la cessazione delle ostilità da sola non può portare alla pace. C'è urgente bisogno di nuove forme di comunicazione e di una visione concreta che offra delle prove evidenti ed immediate sul campo di quali sarebbero i profitti della pace. Lo slogan della sicurezza in cambio della pace deve essere adottato, ma ha bisogno di seguaci fedeli che vi si aggrappino e lavorino per la realizzazione dei suoi obiettivi.
Lo status quo non è più accettabile
Il rispetto reciproco e la convivenza pacifica sono le condizioni per una pace giusta, duratura e globale che possiamo raggiungere attraverso lo sviluppo di una maggiore ricettività: "Io divento me stesso secondo ciò che ho dell'altro."
Dobbiamo ricordare perché teniamo così tanto a Gerusalemme affinché possa essere celebrata nuovamente come la città della pace. Gerusalemme è un dono condiviso, non di proprietà esclusiva di un governo o un popolo. Il futuro della città santa riguarda tutti noi. Ecco perché dobbiamo garantire parità di trattamento e prosperità a tutti i suoi abitanti. Tutto ciò che accade a Gerusalemme testimonia la forza o la debolezza delle relazioni tra le religioni abramitiche e le relazione tra le nostre società e le nostre culture. Il blocco deve essere infranto..
Lo status quo non è più accettabile.