Politica e demagogia
Gran parte del dibattito intellettuale contemporaneo sulla politica riflette sulle forme e sulle cause della demagogia, a prescindere dalla abito di cui essa si riveste o dalle tecniche che adotta per esercitare il suo scopo.
A questo si aggiunge un elemento preoccupante, ovvero il fatto che spesso non si abbia più nemmeno il sentore che la demagogia sia un errore a prescindere, e si afferma invece che il problema risiede soltanto, in fondo, nel modo in cui e nel fine per cui viene utilizzata.
Questa situazione desta un notevole sconcerto in molti contemporanei, i quali sembrano in effetti cogliere quanto questa situazione sia snaturata e pericolosa, e si chiedono come praticare soluzioni politiche alternative alla demagogia e libere da essa.
Fatti che sembrano ormai all’ordine del giorno come l’utilizzo dei social network a scopo politico o di marketing, o la violazione della privacy volta a ottenere informazioni utili per condizionare le preferenze elettorali o gli acquisti dei beni di consumo, sono solo alcuni tra i fenomeni più attuali che mostrano la portata estrema e invasiva che la manipolazione e la demagogia hanno raggiunto.
Ma che cos’è la politica? Cos’è la demagogia? La demagogia è giusta o sbagliata? Come sostenere uomini e donne che si pongono queste domande e che sono disposti e interessati ad approfondire il pensiero in un modo che sia conforme all’Intelletto universale e al Bene supremo?
Nel suo trattato dedicato alla Politica, ovvero alla scienza e all’arte di governare uno Stato, il filosofo greco Aristotele distingueva tre forme di governo, la monarchia, l’aristocrazia e la democrazia, aggiungendo che ciascuna di esse può degenerare e che queste degenerazioni sono rispettivamente la tirannia, l’oligarchia e la demagogia.
Senza voler proporre il pensiero di Aristotele come punto di riferimento assoluto, non è forse inutile ricordarne i tratti per via del ruolo fondamentale che esso ha svolto come rappresentante significativo dell’intellettualità occidentale ed europea, sicuramente a partire dal tardo Medioevo quando la sua riscoperta, grazia alla mediazione intellettuale della civiltà islamica, giunse alla ribalta del dibattito filosofico tra i sapienti della cristianità medievale.
Una prima osservazione dovrebbe forse riguardare il fatto che il pensiero aristotelico, così come la civiltà greca nel suo complesso, sembra spesso muoversi senza la priorità di un riferimento sacrale o sacerdotale in diversi ambiti della vita e della società, compreso quello della politica dove viene infatti taciuta la possibilità di un governo se non gestito quanto meno ispirato da priorità spirituali. Questa forma di governo potrebbe essere denominata "teocrazia", e naturalmente prevede anch’essa sia una realizzazione armoniosa sia una degenerata. Ma lasciamo per ora da parte questo punto per riprenderlo in seguito.
Per tornare ad Aristotele, è interessante che tutte e tre le forme di governo possano degenerare quando coloro che ne sono gli interpreti, ovvero il monarca, gli aristocratici o i rappresentanti del popolo, cessano di svolgere la loro funzione ispirati dal bene comune e da un orientamento saggio, finendo invece per far prevalere i propri interessi o semplicemente cessando di ricercare o di mettere in pratica con dedizione la conoscenza necessaria per adempiere al compito.
La demagogia diviene così la strumentalizzazione e la manipolazione del popolo da parte dei suoi rappresentanti, o da coloro che da questi ultimi sono stati incaricati di tale compito, per fini che sono in contrasto con il bene particolare di ciascuno e della comunità umana nel suo insieme.
Una riflessione che potremmo chiamare “platonica”, per citare un altro dei sapienti dell’intellettualità occidentale, uno che forse è più caro di Aristotele a coloro che mantengono e coltivano una sensibilità contemplativa, riguarda il fatto che la realtà e la declinazione del Bene ha almeno tre dimensioni: una relativa al particolare, ovvero al bene di ogni singolo membro della comunità; un’altra relativa alla comunità, ovvero alla collettività dei membri, che comprende anche necessità specifiche che sorpassano il singolo; e una terza dimensione universale, che riguarda il Bene in se stesso a prescindere dalle sue applicazioni particolari per il singolo o per la comunità.
Seguendo questa riflessione platonica, peraltro condivisa da quei maestri musulmani o orientali che parlano delle corrispondenze tra macrocosmo e microcosmo, si potrebbe aggiungere che non è veramente saggio un governo che non sia ispirato da principi e da metodi che non riescano al tempo stesso a soddisfare tutte queste tre dimensioni, facendo sì che sia il bene che ogni singolo uomo ricerca sia quello della comunità siano entrambi un riflesso, reciprocamente speculare, del Bene universale.
Governare e condurre sono per natura concetti diversi da manipolare e da strumentalizzare. Strumentalizzare non significa usare, bensì usare male, usare per un fine o in un modo che non è appropriato alla natura e alla finalità di ciò che viene strumentalizzato. La manipolazione, ovvero l’alterazione di qualche cosa al di fuori della sua realtà e della sua vocazione, può essere sia la conseguenza della strumentalizzazione, poiché il cattivo uso deteriora e corrompe, sia la sua stessa tecnica, quando si manipola qualcosa per ottenere determinati risultati.
È necessario inoltre ribadire un punto prima solo accennato. La strumentalizzazione e la manipolazione demagogiche possono avvenire sia consapevolmente sia inconsapevolmente, e non è affatto vero che la seconda modalità è scusabile o meno grave, poiché le sue conseguenze sono deleterie tanto quanto quelle della prima. Il risultato è in entrambi i casi la corruzione, la perdita del bene e la degenerazione dell’intelletto, dell’anima e del corpo sia dell’uomo sia della comunità sia dell’ambiente che li ospita, il quale ne risentirà irresistibilmente.
A questo si aggiunge il fatto che, quando la demagogia diviene quasi la norma della politica – o dell’economia, che in quest'epoca si fatica assai a distinguere pur essendo cose ben diverse – accade, dicevamo, che con ogni probabilità essa possa sfuggire di mano persino a coloro che se ne stavano servendo. La manipolazione sfugge al controllo quasi per sua stessa natura, non essendo fondata su alcunché di vero o di sano, traviando i suoi destinatari tanto quanto i suoi promotori, per giungere a contaminare anche l’ambiente stesso, il quale diviene progressivamente alieno al bene, alla giustizia e alla verità. E questo è veramente il caos politico a uno dei suoi gradi più alti.
Ma di cosa si alimenta la demagogia contemporanea, o in genere la demagogia di ogni tempo? Essa fa leva sull’ignoranza, sul pregiudizio, sulla paura, sulla suggestione delle cose meno nobili presenti nell’essere umano. “L’aumento del benessere del corpo è manifestamente la principale aspirazione del mondo moderno”, scriveva René Guénon in Oriente e Occidente. Non è proprio su suggestioni sentimentali e materiali che fa spesso leva la demagogia? E visto che la soddisfazione materiale è spesso irraggiungibile, essa viene sostituita dall’immaginazione di tale soddisfazione, e questo è il principale strumento della magia demagogica nella quale si è ormai per lo più già abituati a vivere.
Un mezzo della strumentalizzazione demagogica è senza di dubbio la manipolazione o l'impoverimento del linguaggio. La parola ha una corrispondenza con ciò che indica e quindi un potere sulla realtà tale che non poteva di certo sfuggire a chi era interessato a esercitare un potere sugli uomini. Ci sono parole che descrivono la realtà, altre, invece, che la realtà la creano. E poi ci sono quelle che con la realtà non hanno minimamente a che fare, ma che servono a produrre nella massa suggestioni, ombre, dinamiche presunte, funzionali alle necessità dell’una o dell'altra ideologia. Sono parole che servono a generare una bolla psichica dove, quando se ne presenta il bisogno, si possono riparare gli intellettuali, o gli "esperti", oramai in evasione da una realtà divenuta pressoché incomprensibile. Parole che suscitano un'irriflessiva reazione sottile di automatica accondiscendenza, e che è davvero arduo smuovere. Parole che ancora sono gli idoli di quella mentalità che sarebbe necessario cambiare e che richiede un lavoro serio e profondo. Un'altra "tecnica", inoltre, consiste nel mutare o limitare il significato che le parole suggerivano in principio, in una prospettiva sempre più riduzionista che rende alla fine inaccessibile, tramite una certa lingua, ogni concezione autenticamente metafisica. Questo "abuso" ha davvero un carattere antitradizionale: si pensi, a titolo di esempio, l'essenziale funzione ricoperta dall'Imperatore cinese di "rettificare i nomi" che avevano perso la loro corrispondenza naturale con la realtà che simboleggiavano.
Prima di parlare di soluzioni politiche alterative, sarebbe forse utile rispristinare una riflessione intelligente sui principi della politica, riscoprendo quei modelli universali che potrebbero far più luce sul problema, come stiamo cercando di fare con queste riflessioni.
Non si tratta certo, infatti, di ritornare nostalgicamente al ripristino anacronistico dell’aristocrazia, della monarchia o dell’Impero Romano, e tantomeno di creare imperi, monarchie e aristocrazie che diventerebbero in realtà tirannie o oligarchie ben peggiori di quelle tutto sommato tiepide che ha visto la Grecia antica, e di cui vediamo in realtà esempi ben più terribili al giorno d’oggi sia in Oriente sia in Occidente.
Non certo migliore è la speranza utopica di una democrazia giusta in tempi così difficili dove il caos intellettuale e sociale sembra farla da padrone, e dove l’unico ordine che si impone esteriormente è quello della forza, dell’uniformità, della passione e dell’ignoranza, per quanto sia evidente che non si possa trattare che di un ordine fragile e illusorio, come è quello delineato in nome del diritto internazionale, quasi non fosse anch’esso una ideologia strumentale a progetti geopolitici ed egemonici.
La questione non è tanto la forma di governo, quanto piuttosto la condizione attuale dell’uomo e del suo orizzonte intellettuale, dove questa volta l’intelletto non riguarda la ragione terrena ma l’ampiezza, la forza e la chiarezza del suo centro interiore. Questo centro, il cuore dell’essere, è quello che può riflettere e conoscere le Azioni e le Qualità universali del Principio metafisico, quel Principio che nelle tradizioni monoteistiche sia chiama Dio, Allah in arabo, e in Oriente si chiama Brahma, l’ “Assoluto”, o Tao, la “Via metafisica”, o ancora Dharmakaya, il “Corpo supremo della Legge”.
Ritorniamo con questo alla questione della "teocrazia", sulla quale bisogna almeno fare attenzione a distinguere il principio dalle sue forme degenerate. Si tratta certo di un argomento un po’ ostico da affrontare per via della preponderante tendenza anticlericale e antireligiosa che anima la civiltà occidentale da almeno 5 secoli, e che si è poi diffusa anche in Oriente negli ultimi 150 anni, e a causa degli scellerati e perversi esempi offerti dal fondamentalismo, ma che è forse importante chiarire.
Una civiltà teocratica non è altro, in realtà, che una civiltà nella quale viene data la priorità allo sviluppo delle possibilità spirituali che ogni uomo e ogni donna portano in se stessi, ciascuno a seconda delle sue capacità e qualità specifiche, all’interno di un quadro sacrale che protegge la dignità e la nobiltà di ogni cosa e ne promuove uno sviluppo armonioso e integrale.
Avere una disposizione teocratica non significa avere un orientamento politico stravagante o irrazionale, o non votare, o protestare a favore della scomparsa della democrazia, o ancora fuggire nella fantasia romantica di un passato felice del sogno di un califfato che non è mai esistito: non è questo il punto. Significa piuttosto, come insegnano i maestri musulmani, ripristinare in se stessi, interiormente e come prospettiva esistenziale, la natura dell’uomo primordiale in quanto khalifat Allah fi-l-ard, “rappresentante di Dio sulla terra” (Corano 2, 30), Suo vicario in quanto capace di conoscere, riconoscere e testimoniare sulla terra, in ogni forma e in ogni grado, le Qualità e le Perfezioni di Dio, come riflesso e mezzo della Sua conoscenza.
Questo è sempre possibile farlo mantenendosi uomini e donne autenticamente religiosi, distanti da ogni forma di radicalismo ideologico e capaci di vivere e testimoniare la ricchezza del patrimonio spirituale e sapienziale della propria e di ogni civiltà religiosa e dottrina metafisica, nella protezione e nella valorizzazione delle qualità dei popoli e delle culture nella loro grande e provvidenziale varietà e complessità.
Per ritornare, in conclusione, sulla demagogia, è preoccupante l’utilizzo che essa strumentalmente fa delle diversità religiose, culturali, etniche, artistiche e linguistiche, per dividere, separare, inimicare e alienare gli uomini, i popoli, le religioni e le civiltà. Non sarebbe forse più semplice, vero e benefico riscoprire e valorizzare il pluralismo del Bene nel miracolo della creazione, proteggendo tutte le diverse anime dell’umanità, senza relativismo e senza competizioni faziose?
“O uomini, temete il vostro Signore che vi ha creato da un’anima unica, e ha creato da essa la sua sposa, e ha tratto da questi due molti uomini e donne” (Corano 4, 1); “O uomini, in verità Noi vi abbiamo creato da un maschio e da una femmina, e abbiamo fatto di voi popoli e tribù affinché vi conosceste; in verità il più nobile tra voi è chi più teme Dio, e Iddio è Sapiente e Saggio” (Corano 49, 13).