Molto rumore per (il) nulla
Il recente arresto di un fuorilegge italiano ha scatenato onde emotive e contrasti dialettici che per giorni hanno assorbito il dibattito pubblico. Complottismi, sentimentalismi, compiacimenti per le proprie perspicacie investigative e attrazioni morbose per i dettagli, omertà reali e accentuate dalla stampa hanno polarizzato l’attenzione di un popolo intero.
L’intenzione di questo scritto è quella di ricordare che lo schieramento da parte della legge è veramente tale se c’è un intento di elevazione e di innalzamento della prospettiva e se da questo deriva un ordine, non un pantano di inconcludenze.
Verso la fine del viaggio nella prima cantica, Dante è irretito dall’osservazione di una categoria di dannati e dalla loro pena: «La molta gente e le diverse piaghe/avevan le luci mie sì inebriate» Inf. XXIX, 1-2.. Il pellegrino è cioè quasi inebriato dall’osservazione del male che viene punito. L’intelligenza illuminata di Virgilio lo rimprovera perché non c’è tempo e sarebbe insensato perdersi nel conteggio della pletora dei dannati e perché c’è ancora altro da vedere: «lo tempo è poco omai che ne è concesso, /e altro è da veder che tu non vedi» Vv. 11-12.. Sembra dunque che per sensibilità escatologica e per corrispondere a una chiamata divina, Dante voglia dirci di non arrovellarci con ostinazione sull’osservazione di un elemento infernale. In effetti, condannare a parole il potere occulto Ci viene incontro la lingua italiana in cui la parola “latitante”, utilizzata per definire il criminale ricercato dalla legge, deriva dal verbo latino latito, che a sua volta costituisce una forma intensiva del verbo latere, che significa “stare nascosto”. Il latitante, dunque, non è colui che sta nascosto (significato letterale di “latente”), ma colui che si nasconde in modo forzato e innaturale e dunque è colui che si occulta. mafioso ma curiosare tra le sue pieghe, cedere all’attrazione per alcuni dettagli, o reagire visceralmente, fosse anche in antitesi a questo, significa deporre le armi intellettuali per cadere nelle sue spire.
Nel descrivere le tappe dell’azione antitradizionale, lo Shaykh Abd-al Wahid Yahya Guénon ci ha insegnato il modo di riconoscerla e ci ha fornito gli strumenti intellettuali per andare oltre in senso verticale. Quando Guénon scrive Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, è appena terminata la Seconda Guerra Mondiale e l’autore ricordava che l’antitradizione avrebbe trovato sempre nuovi e più sofisticati stratagemmi.
Secondo l’insegnamento del metafisico francese, tale azione antitradizionale, che spinge verso “l’infraumano”, con l’accelerare del ciclo, si serve sempre meno del materialismo e sempre più di uno “psichismo disgregante” che agisce attraverso “suggestioni” che spesso incantano proprio i capifila della critica contro il mondo moderno. Tra i segni di riconoscimento dell’azione di queste forze siamo chiamati a riconoscere la contraffazione e la parodia. «Tuttavia, poiché contraffazione equivale a parodia, trattandosi di due termini che sono quasi sinonimi, c’è invariabilmente in tutte le cose di questo genere un elemento grottesco, il quale può essere più o meno appariscente, ma che in ogni caso non dovrebbe sfuggire a osservatori, sia pur soltanto moderatamente perspicaci, se le “suggestioni” che essi subiscono inconsciamente, non ne abolissero a tal riguardo la perspicacia naturale. Si tratta dell’aspetto per il cui tramite la menzogna, per quanto abile, non può far altro che tradirsi; ed è chiaro come anche questo sia uno dei “marchi” della contraffazione, i quali normalmente devono permetterla di riconoscerla come tale» R. Guénon, Il Regno della Quantità e i Segni dei Tempi, 194..
Non è difficile riconoscere questi segni nel potere mafioso che, essendo solo uno degli strumenti dell’antitradizione, dietro la parvenza di un ordine alternativo, è in realtà un agente disgregante e sovversivo che attacca le comunità, sfalda i legami, corrompe le istituzioni, depreda le ricchezze di una terra e di un popolo. Tra gli strumenti di sovversione vi è quella che lo Shaykh Abd al-Wahid Yahya chiama «pseudo-iniziazione», la parodia e la contraffazione dei mezzi di autentica realizzazione spirituale, che prende le mosse dalla contro-iniziazione, che mira invece a imitare l’iniziazione per opporvisi:
«[…] si tratta di una pura e semplice parodia (la pseudo-iniziazione): si può dire che non è niente in se stessa, che è priva di ogni realtà profonda, oppure, se si vuole, che il suo valore intrinseco, non essendo positivo come quello dell’iniziazione e neppure negativo come quello della contro-iniziazione, è semplicemente nullo […]. Essa non è nient’altro che un ingranaggio, ma un ingranaggio che può comandarne molti altri e sul quale questi altri vengono in qualche modo ad ingranarsi ricevendone il proprio impulso» Ivi 238-239..
Bisogna purtroppo constatare – senza neanche troppo stupore - che persino alcuni lettori dello Shaykh Abd al-Wahid Yahya Guénon, suggestionati da pseudo-riti di ingresso, immagini sante e affettate appartenenze religiose, prestano fede a quella frottola, che sarebbe comica se non fosse tragica, secondo cui la mafia moderna sarebbe decaduta, a differenza di quella di qualche decennio fa, che invece era un’organizzazione d’onore, caratterizzata da una fede religiosa incrollabile e da una devozione sincera. Se proviamo a seguire lo Shaykh Abd al-Wahid Yahya, forse ci rendiamo conto che l’onore si realizza con la signoria dello Spirito, non con un’etica vuota, così come il cavaliere è tale non perché indossa un’armatura, ma perché la indossa per realizzare la sottomissione al Principio e quella stessa armatura, se indossata per uno scopo diverso da quello per il quale è nata, perde la sua natura autentica.
A noi tutti Guénon ricorda che, nella fase finale del ciclo, l’antitradizione non agisce in modo “esplicito”, ma facendo ricorso a forze sottili inferiori e sovversive che mirano a una “spiritualità alla rovescia”. Se però le influenze sottili, di cui si è parlato sopra, hanno un “marchio” evidente e uno scopo di sovversione e disgregazione, bisogna tuttavia tener presente che, come insegna la dottrina islamica, è solo nel campo psichico che tali forze hanno un’influenza sulla nafs (l’anima), mentre lo Spirito, il Ruh, la cui essenza è la luce, non è in alcun modo scalfibile da questi attacchi. Nei tempi confusionari in cui viviamo, farsi guidare dal letteralismo delle interpretazioni o dalle griglie ideologiche e morali rischia di portarci allo smarrimento. È allo Spirito dunque che bisogna tendere, aprendosi a un’intelligenza più alta, come fa Dante che si dispone a seguire la santa ragione di Virgilio per scoprire, conoscere, purificarsi e innalzarsi.