Mediterraneo e dialogo al vertice
La recente conferenza, che ha coinvolto alcuni dei maggiori leader del mondo, svoltasi a Palermo e che ha riguardato la questione libica, ci dà l’occasione di riflettere sulla possibilità di vedere nel mar Mediterraneo un tavolo di dialogo autentico tra Oriente e Occidente, nel senso di dià – lògos, e cioè di attraversare e lasciarsi attraversare al tempo stesso dal Lògos. Non ci interesseremo dunque in questa sede delle questioni diplomatiche che hanno preceduto la suddetta conferenza, né delle questioni tecniche e militari riguardanti la vicenda libica. Ci interesserà invece capire come, al di là dell’anarchia spirituale dell’Occidente e delle “auto-crociate” degli orientali, che hanno spalancato le porte agli aspetti più deteriori del modo di vita occidentale, sia possibile realizzare nel Mediterraneo un tavolo di dialogo basato sul riconoscimento dei principi comuni e universali e che avvenga dunque su un piano metafisico, l’unico reale e rispetto al quale tutti gli altri non sono che punti di vista.
Sulla decadenza dei rapporti
Nel corso della storia il Mediterraneo è stato il teatro di viaggi simbolici come quello di Odisseo e degli Argonauti, di incontri dottrinali, di scontri bellici, di confronti anche all’interno degli scontri. Sembra dunque fertile al dialogo delle varie forme tradizionali.
Platone, in un celebre passo del Fedone, mette in guardia dall’assunzione di un punto di vista troppo “di parte” che vorrebbe attribuire un’eccessiva importanza al Mediterraneo: “Dal Fasi alle colonne d’Ercole, noi abitiamo soltanto una piccola parte della Terra. E viviamo intorno a questo nostro mare come formiche o rane intorno a uno stagno”. Eppure, nelle battute successive del dialogo, lo stesso Platone utilizza la dissertazione sul Mediterraneo per introdurre il mito del destino delle anime: in una contrapposizione cosmologica tra alto e basso, si fa notare come gli uomini che abitano intorno a questo mare non si rendano conto che l’aria che li sovrasta non sia il vero cielo e la vera luce, accessibili invece solo tramite l’Intelletto. Ma è possibile che tra i popoli del Mediterraneo vi sia chi possa riconoscere il vero cielo e la vera luce? E ancora: è possibile che si arrivi a questo riconoscimento tramite un sostegno reciproco?
L’attuale decadenza dei rapporti non lascerebbe ben sperare: conflitti, drammi umanitari, sanzioni economiche, tensioni diplomatiche, pretese di talassocrazia e instabilità politiche appaiono come normalità nelle reciproche relazioni. Non è però questo che basta a farci parlare di decadenza. Se infatti esistesse una regolare comunicazione tra i legittimi rappresentati delle varie tradizioni su un
piano più elevato, i conflitti bellici e le tensioni politiche passerebbero in secondo piano. Quel che preoccupa è invece il fatto che la centralità delle relazioni tra i due poli del Mediterraneo è di natura quasi esclusivamente politica ed economica. Questo non vuol dire che rapporti economici e politici non abbiano importanza, ma che debbano essere collocati al livello che a questi compete, dal quale è possibile eventualmente beneficiare dell’intesa che avviene su un altro piano3 che è quello dei princìpi. Per realizzare questo è necessario l’apporto delle realtà spirituali ortodosse orientali e occidentali.
Linguaggio della guerra e linguaggio della metafisica
Si potrebbe obiettare che anche nei secoli passati i rapporti sono stati burrascosi e con connotati ancor più bellici di quelli odierni e questo proverebbe l’impossibilità di un avvicinamento di Oriente e Occidente unitamente a una incomunicabilità di fondo.
Ma la differenza è notevole: i tempi di Carlo Magno e delle Crociate hanno conosciuto aspri scontri, ma questo è solo un aspetto, per così dire, “esteriore”. A livello più interiore ha espresso i miracoli di San Francesco che incontrava il Sultano Malik al Kamil, dei saggi musulmani andalusi che si rinforzavano reciprocamente nella fede insieme ai sapienti ebrei e cristiani. Per chi si ponga da un punto di vista almeno religioso, tali fatti non possono essere letti “storicisticamente” come viaggi esotici o, peggio ancora, come adesioni a vuoti circoli irenici. Si trattava del dominio della sfera dell’intellettualità e della metafisica che, sola, consente un accordo sull’essenza e impedisce fusioni o eclettismi. Ecco dunque che, se esteriormente si parlava il linguaggio della guerra, interiormente si parlava quello della metafisica. Proprio come in una rappresentazione teatrale, due personaggi, svestiti i panni dell’attore, cessano le tensioni del palco, così dietro il teatro bellico si celava la ricongiunzione su un piano superiore.
Un dato abbastanza esemplificativo dell’epoca è la presenza dei cavalieri Templari. Ora, senza scendere nei dettagli o divagare, ci basti sottolineare lo status di monaci e guerrieri attribuito loro dallo stesso San Bernardo e a quello che Guénon scrive a proposito di questa apparente duplicità: “Nel caso particolare dei Templari occorre tener conto di qualcosa di più: quantunque la loro iniziazione fosse essenzialmente cavalleresca, come conveniva alla loro natura e alla loro funzione, essi avevano un duplice carattere, militare e nel contempo religioso; e così doveva essere, se essi erano, come abbiamo più di una ragione di pensare, fra i guardiani del Centro supremo, in cui
l’autorità spirituale e il potere temporale sono riuniti nel loro principio comune, principio che comunica l’impronta di tale riunione a tutto ciò che gli è direttamente ricollegato”.
A proposito di comunicazione più o meno diretta tra differenti tradizioni ortodosse, si pensi ancora all’attenzione che Platone, Plutarco e altri nutrivano per i misteri egizi, al caso di Alessandro Magno o a quello di Augusto, di cui è narrato che ad Atene abbia incontrato una delegazione di saggi indiani inviati direttamente dal re Poro, tra i quali un maestro che si gettò nel fuoco al cospetto dell’Imperatore.
Per un dialogo al vertice
Bisogna dunque riprodurre pedissequamente la società medievale di San Francesco? Ripristinare le corporazioni? Bandire una crociata? Come possono i cercatori di Dio, che secondo Al Ghazali sono “gli uomini che tengono in piedi il mondo”, rispondere al loro anelito verso il Principio? Non interessandoci né le ricostruzioni filologiche, né un culto delle rovine, partiremo innanzitutto dal presupposto che ogni cosa è come Dio vuole e che la decadenza moderna ha un suo posto nel disegno della Provvidenza divina. Come ha detto un maestro di questo secolo: “Occorre dunque accettare la Verità per quello che essa è, come dice San Clemente d’Alessandria, senza pretendere di edificare un altro mondo, quello dell’immaginazione, perché il mondo nel quale viviamo è senza dubbio un globo terrestre, e questa terra non è piatta, contrariamente a quanto ci fanno percepire i nostri sensi”.
La grande possibilità che viene data agli uomini di questi tempi è quella di disporre di una scena, il Mediterraneo, in cui si affacciano contemporaneamente Oriente e Occidente, Ebraismo, Cristianesimo, Islam e le loro rispettive tradizioni sapienziali, soprattutto ora che il Mediterraneo, con l’avvento della globalizzazione ha cessato di essere il mare nostrum. D’altronde la metafisica non è né orientale né occidentale, così come Dio non è né l’uno né l’altro. Nell’adattamento, e non nella sovversione, ai rapidi cambiamenti di questi tempi è possibile che i rappresentanti tradizionali
delle varie confessioni, superino le differenze esteriori, giacché in queste non vi è incompatibilità, essendo comune e medesima la radice.
Non è affatto improbabile che questo fosse lo spirito con cui sia San Francesco che Federico II si recarono a incontrare Malik al Kamil, simbolo di Oriente e Occidente che si incontrano senza fondersi, se non in Dio.
Il mar Mediterraneo ha la possibilità di essere ancora sede di questo incontro, di cui ha parlato lo Shaykh Abd al Wahid Pallavicini: “L’evidenza dell’identità del Dio Unico del Cristianesimo e dell’Islam, nell’universalità metafisica che trascende le dottrine rivelate, necessariamente espresse in una forma teologica particolare, conduce al pieno riconoscimento della validità salvifica di queste ortodossie dottrinali e rituali. Solo queste ultime possono portare gli uomini a rivolgersi dal punto periferico nel quale sono ontologicamente collocati verso quel punto centrale rappresentato dall’Unico e stesso Dio.
I problemi sembrano sorgere solamente quando gli uomini e le donne, a differenza dei fiori del girasole, non sono più rivolti verso il Sole principiale e pertanto non beneficiano più di quella luce che sola può dare loro anche la vita e il calore, perché si illudono di poter brillare di luce propria, come le lucciole, e di poter illuminare gli altri dopo aver voltato le spalle a Dio”.