Le ripercussioni escatologiche della Donazione di Costantino sul conflitto in Terra Santa in una prospettiva di ispirazione dantesca
Premesso che, per eliminare subito possibili equivoci, la falsità del documento storico che attesta e descrive la Donazione di Costantino (dimostrata da Nicolò da Cusa e da Lorenzo Valla) non inficia la verità storica di tale donazione, trattandosi di cose di ordine diverso (un conto è un documento falso con la sua incerta datazione, un conto è che sia avvenuto davvero, anche in altra forma, il fatto relativo) – non è perché il documento sia stato fabbricato in un secondo tempo e con intenzioni discutibili (come ad esempio sarebbe il volersi difendere dall’accusa di aver violato senza autorizzazione i diritti dell’Imperatore) che si possa negare che la donazione sia davvero avvenuta – possiamo quindi procedere nella trattazione. Come è risaputo, la conversione di Costantino al Cristianesimo, e con lui in un certo senso dell’impero romano stesso, in decadenza di costumi, ha comportato una possibilità di rivivificazione spirituale dell'Occidente e di unione tra il cristianesimo e la romanità forse non mai completamente realizzata e con alcune importanti pietre di inciampo. Secondo Dante, Costantino, per difetto di scienza, ma in buonafede, commise l'errore di donare un patrimonio terreno e un vero e proprio territorio al Papa Silvestro I da cui ne sarebbe derivato in futuro un vero e proprio Stato monarchico: lo Stato Pontificio (mentre Gesù aveva dichiarato : “il mio Regno non è di questo mondo” Giovanni, 18,36 e “date a Cesare quel che è di Cesare” nel Vangelo secondo Matteo 22,21[1], nel Vangelo secondo Marco 12,17[2] e nel Vangelo secondo Luca 20,25[3]. È un detto registrato anche al di fuori degli scritti canonici: è presente nel Vangelo di Tommaso (100,2-3) e, rielaborato, nel Vangelo Egerton (3,1-6).
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!
(Inferno, XIX 115-117)
Vedasi anche il Vangelo (Matt. 10, 9-10) là dove è fatta alla Chiesa esplicita proibizione di possedere alcunché di temporale (e Dante de Monarchia III X 14 Ecclesia omnino indisposita erat ad temporalia recipienda per praeceptum prohibitivum expressum.)
Ora, sappiamo che Dante, come scrive nel de Monarchia (De Monarchia III X 16 Poterat tamen Imperator in patrocinium Ecclesiae Patrimonium et alia deputare) non avrebbe avuto niente in contrario ad accettare una “presa in usufrutto” dei beni da parte del Papa, per mantenere il clero: questa infatti non avrebbe messo in discussione il principio della povertà apostolica – l’unico proprietario vero dei beni e di noi tutti è Dio solo, di cui l’Imperatore era servo e custode nella sua sfera di pertinenza, distinta da quella pontificale del Papa.
Ma soprattutto e in principio – e smarcandosi appunto dalle problematiche di base relative al concetto di “proprietà territoriale” – sappiamo che la “cagione che il mondo ha fatto reo”. (Purgatorio, XVI 85-129) per la quale ne consegue che “sia 'l mondo indi distrutto (Paradiso, XX 55-60)” - nonostante la buona fede di Costantino nel fare tale dono alla Chiesa - risiede, a causa della cattiva ricezione del dono “nell'avere il pastore giunta la spada / col pasturale” vedasi Purgatorio XVI, 46-105.
Quindi nella commistione tra autorità spirituale e potere temporale non chiaramente ordinati gerarchicamente tra di loro e nei confronti dei sudditi, mossi a loro volta da forze contrastanti (così, più avanti nel tempo, le opposte fazioni politiche dei Guelfi e dei Ghibellini, e in generale i fautori di parte del Papato e quelli dell’Impero, in lotta tra di loro per ricevere le deleghe e le investiture, si fecero guerra in tutta Europa - quasi a realizzare, anche a livello locale, le parole del Cristo: ‘una casa divisa in se stessa crollerà’, Matteo 12, 25).
Chiaramente non si tratta qui di semplici rapporti causa-effetto; piuttosto di corrispondenze simboliche e ripercussioni grossolane e sottili di azioni e reazioni concordanti e discordanti, ma ancora nell'ambito di una Provvidenza divina che resta imperscrutabile e misteriosa, caratteristica di ogni quadro interpretativo tradizionale – ancora più complessa diventa la situazione quando ambedue i poteri si confronteranno con la nascita e lo sviluppo di un nuovo punto di vista (dominio/dimonio) apparentemente estraneo ad ambedue, sedicente laico/profano, poi moderno o anche, con nuova pretesa di esclusività, “scientifico/oggettivo”.
L’origine nella primordiale notte dei tempi di queste lotte fu la ribellione dei guerrieri ai sacerdoti e la loro rivendicazione di indipendenza e di autonomia, nella dimenticanza da parte di entrambi di un principio unico superiore, e davvero universale, in nome del quale riconoscersi fratelli. Uno dei danni in questione (chiamato in altro contesto “venenum”, infiltratosi nelle organizzazioni) consiste certamente nella tentazione in cui, trovandosi ad esercitare il potere temporale, la Chiesa romana medievale fu indotta dai condizionamenti terreni che tale nuova situazione per sua natura comportava.
A parte la conseguenza storica nel tempo di Dante, il tredicesimo secolo, in cui erano all'opera con la spada contro i suoi Fedeli d'Amore l'Inquisizione, i mercenari del Papa (e i soldati del Re di Francia) da cui vennero le persecuzioni dei Templari, degli ebrei, dei musulmani e degli uomini spirituali in disaccordo con tale situazione, in generale discriminati come eretici, la profezia pare andare oltre e condurre fino alla vera e propria fine del mondo, o di “questo” mondo. In una prima fase, come dicevamo, v’è da considerare che sarebbe stata proprio questa infausta donazione, per Dante, a condurre alla fine l'impero romano per questa indebolitosi, in Occidente, nel 476 d.C, quando fu deposto Romolo Augusto dai barbari, per giunta ribelli, di Odoacre.
Dante, tra l’altro, rimprovera Costantino di essersi fatto “greco”, trasferendo a Costantinopoli il centro della sua attività, e abbandonando Roma, o meglio consegnandola in altre mani, quelle furtive e avide di possesso del Papa di allora.
Tale furto (appropriazione indebita, “dirubamento”) ripropone, nella Divina Commedia, quello del frutto proibito nel Paradiso terrestre da parte di Adamo. Le conseguenze di una gestione da parte di coloro che dovrebbero essere liberi da attaccamenti di tipo passionale alle cose – soprattutto non associarle allo Spirito Divino – avrebbe finito per inquinare e portare allo sfacelo ogni virtù apostolica.
Nella fattispecie, come riportato nella Donatio, fu a causa di un dono mal riposto per eccesso di generosità nel ricambiare una guarigione miracolosa dalla lebbra, attribuita da Costantino alla intercessione di Papa Silvestro, a costituire il motivo e l’occasione di disobbedienza al comando di non cogliere il frutto proibito.
Senza limitarsi al valore simbolico, ma cogliendo anche un riflesso di questo nella eredità del mondo antico relativo alla Terra Santa e alla città di Gerusalemme – dove Costantino e sua Madre Elena costruirono le maggiori Chiese e Templi (tra cui la basilica del Santo Sepolcro) – non ci sarebbe da trarre tutti un insegnamento e soprattutto un monito di rinuncia ad ogni possesso, o meglio ad ogni associazione terrena (secondo la dottrina islamica il peccato di confusione e associazione “shirk”) alla Realtà divina, alla quale ultima si attribuisca anche qualche virtù magico-fenomenica? Non è sempre stata solo quella celeste la vera Gerusalemme, di pertinenza della religione?
”..in base alla teoria dantesca dei due soli (Purg. XVI 106-129), Dio ha disposto per il bene dell’umanità due capi: il papa per guidare gli uomini alla felicità spirituale e l’imperatore per guidarli alla felicità terrena. Volendo appropriarsi del potere temporale, il papa si distoglieva dalle funzioni prettamente spirituali; e quindi ben faceva Manfredi a cercare di strappare territori a lui per tentare di costituire l’unità d’Italia come avevano tentato di fare il padre Federico II e prima ancora i longobardi, i franchi e i normanni, sempre incappando nell’ostacolo della Chiesa (Carmelo Ciccia, da una recensione del 2014 a Manfredi tra scomunica e redenzione d’Orazio Antonio Bologna (Sentieri meridiani, Foggia, 2010).”
Siamo in altri tempi ma non ha, nel suo piccolo, Papa Francesco trasferito la propria residenza a Santa Marta, non ha rinunciato a sfarzo e automobili, per ridurre ogni orpello e ricordare l'essenziale?
Esistono tradizioni che dicono come la comunità islamica seguirà le comunità precedenti “fin nella tana del serpente”.
E allora, prima che sia troppo tardi, davanti al rifiuto di obbedire di comune accordo al benedetto comando di "cessate il fuoco” proposto da noi tutti ai diretti interessati, che cosa immaginiamo potrebbe suggerire oggi il Divin Poeta agli uomini che vivono in Terrasanta…se non magari un “disarmo unilaterale” da parte del Papa, apparentemente “parte terza”, fuori dal conflitto, in realtà radicato e legato alla Terra Santa luogo elettivo della Rivelazione Cristiana. Perché non, se non azzardiamo troppo nel paradosso, una pubblica e ufficiale “rinuncia alla Donazione di Costantino” mai ancora avvenuta, come esemplare e simbolico esempio da seguire subito, come forse San Francesco avrebbe gradito, osiamo immaginare, già ai suoi tempi e ora forse solo Papa Francesco avrebbe l'autorità di promulgare? Non potrebbe essere forse una tale rinuncia l'occasione di una crociata di Pace, una crociata di Verità?
Vi è da considerare come le realtà interiori e gli uomini davvero saggi non siano mancati mai, finora, nella Storia e non coincidano necessariamente con coloro che ricoprono funzioni esteriori e istituzionali. Non attendeva Dante un Veltro, che potesse ripristinare l’ordine e quindi la Pace come anticipazione degli eventi escatologici previsti, quasi con le stesse parole, dalle grandi religioni ortodosse? (vedasi l’opera omnia di Renè Guènon). Quindi se noi prendessimo ad esempio Dante, o prima di lui, al tempo ancora vicino a quello della fine dell’Impero Romano d’Occidente, Severino Boezio, ambedue messi al bando alla loro epoca, afflitti e imprigionati, inascoltati, di loro e di quelli come loro – certo non parliamo qui dei ribelli – non ci si potrebbe forse un poco fidare? La civiltà, la devozione, la giustizia e la rettitudine sia dei loro comportamenti che dei loro scritti, luminosi, ancor ci guida. E ancor più dopo l’avvento della Rivelazione Islamica, dell’autentico insegnamento di Pace e di Verità del Profeta Muhammad, su di lui la Pace e la benedizione divina, che, come è stato dimostrato, Dante nascostamente tanto amava?
Ma le funzioni di responsabilità effettiva, che fossero sufficienti a operare una efficace azione di Pace non revocabile, in Terrasanta, come sarebbe doveroso, non sono oggi probabilmente ricoperte da uomini e donne di tale statura in grado di realizzarne l’esempio.
“Contrastate dunque i vizi, coltivate le virtù, innalzate a giuste speranze gli animi, indirizzate al cielo umili preghiere. Se non volete sottrarvi alle vostre responsabilità, non potete ignorare la profonda esigenza di onestà che è riposta in voi, poiché le vostre azioni si compiono sotto gli occhi di un giudice che vede ogni cosa.” Anicio Manlio Severino Boezio, Consolatio Philosophiae, V
Bibliografia essenziale si veda:
Enzo Petrucci La Donazione di Costantino in Enciclopedia Dantesca Treccani
(Bibl. - Si legga il testo della D. in C. Mirbt, Quellen zur Geschichte des Papstums und des römischen Katholizismus, Tubinga 1934, n. 228; H. Fuhrmann, Das Constitutum C., in Fontes iuris germ. antiqui, X, Hannover 1968; per i rapporti con D. cfr. lo studio di B. Nardi, La " donatio Constantini " e D., in " Studi d. " XXVI (1942) 47-95, ristampato con notevoli aggiunte nel vol. Nel mondo di D., Roma 1944, 109-159; A. Pagliaro, Il c. XIX dell'Inf. (1961), in Lect. Scaligera III 658-666; D. Maffei, La Donazione di C. nei giuristi medievali, Milano 1964; A. Pagliaro, " Ahi Costantin... ", in Ulisse 253-291.)