La parabola dei tre anelli
In diversi incontri interreligiosi si usa citare la parabola dei tre anelli come spunto culturale in cui le tre fedi ebraica, cristiana e islamica possono ritrovarsi. Il racconto si trova per la prima volta nel Novellino (raccolta anonima di novelle fiorentine del ‘200) e verrà poi ripresa da Boccaccio nel Decamerone e infine da Lessing nel suo “Nathan il Saggio”. Questa novella ha sempre riscosso una grande popolarità, in quanto gli si vuole riconoscere la capacità di indurre alla tolleranza e alla moderazione nei rapporti tra i fedeli delle tre religioni del monoteismo abramico.
Come si sa, si tratta della storia di un padre, che all’approssimarsi della morte si chiedeva a quale dei suoi tre figli avrebbe dovuto lasciare in eredità un prezioso anello d’oro, patrimonio di famiglia, senza far torto agli altri due figli. Escogitò così la soluzione di far coniare due copie dell’anello originale, in modo da potere donare a ciascun figlio un anello, senza che nessuno avrebbe mai saputo quale fosse quello vero.
Confesso che questa storia non mi è mai piaciuta, perché non ritengo che un buon padre possa ingannare due dei suoi figli, anche senza sapere quali, offrendo loro un anello falso, e pur sapendo di aver lasciato in eredità soltanto a un figlio un simbolo della verità.
Avrei preferito che questo padre avesse fatto fondere l’anello d’oro per legarlo con altri metalli, in modo da ottenere tre anelli, ciascuno dei quali avrebbe contenuto almeno l’essenza della verità racchiusa in quello originario.
In realtà, parola che è sinonimo di verità, la storia dei tre anelli non è che una parabola, una favola, una “bufala”, si direbbe oggi, perchè in verità esiste un solo anello, quello vero, quello che sì “lega” le espressioni teologiche delle differenti religioni nel ri-collegarle tutte all’Unico Dio, come unica è la Realtà e come una sola è la Verità.
Come queste “leghe” ricordano la radice della parola religo, da cui deriva “religione”, così le rivelazioni abramico-monoteistiche possono riferirsi sia allo svelamento della Verità assoluta in forme “relative”, parola che contiene le stesse lettere della parola “rivelate”, sia al senso di velare nuovamente, ri-velare la Verità che deve essere schermata per non accecare gli uomini con la purezza della Sua luce.
Per parlare di “fraternità”, a differenza di quanto viene abitualmente espresso nelle concezioni correnti, è necessario, e non solo etimologicamente, riferirsi a un altro termine, che, naturalmente, è quello di “paternità”. Non si può infatti essere fratelli, di sangue o di spirito, se non ci si rifà a una
comune paternità, sia questa fisica, di valori o ideali, o meglio metafisica, intendendo con questo termine ciò che va al di là della fisica, di ciò che è puramente sensoriale.
Pertanto se non pretendiamo di poter essere considerati dai cristiani “fratelli prediletti”, in quanto non stirpe diretta dalla quale è nato Gesù Cristo, pure nel nostro riconoscimento della sua venuta in quanto “Profeta eccezionale”, nato da una Vergine, e nuovamente atteso alla fine dei tempi, vorremmo che si potesse essere considerati veri fratelli. Veri fratelli quali discendenti genetici dello stesso PatriarcaAbramo ed eredi della stessa tradizione spirituale, sebbene storicamente, e solo storicamente, in un tempo più recente, e pertanto se non maggiori, fratelli minori, ma pur sempre fratelli, e non soltanto nei confronti dei cristiani, ma anche degli stessi ebrei.
Bisogna dire subito che se il prezzo del riconoscimento della validità di tradizioni precedenti – sola base per un dialogo reale fra i tre monoteismi abramici – è ridotto, per l’Islam, alle frange dell’esclusivismo integralista, esso è caro per un Cristianesimo che si vuole unica fonte di salvezza anche nei confronti dell’Ebraismo, e doppio per quest’ultimo, che deve riconoscere non una, ma due rivelazioni posteriori alla propria.
Ma, al di là degli atteggiamenti «perfezionisti» o «abroganti» dei primi, di quelli «primatisti» ed egemonici dei secondi, e al di là delle pretese di primogenitura dei terzi nei confronti dei «fratelli minori» o «di secondo letto», bisogna convenire che l’alto prezzo da pagare per tutti sta proprio nella sua «carità» (se si potesse dire e se si potesse davvero averla...), quella di dover riconoscere che la propria religione non è certo l’unica né la sola effettivamente vera e valida.
Noi crediamo, infatti, che a unire le nostre tre comunità non sia solamente la discendenza genetica, ma soprattutto l’eredità spirituale che collega i messaggi indirizzati da Dio in momenti e luoghi differenti a popoli diversi, messaggi che devono rimanere diversi perché solo così possono permettere ai vari popoli di raggiungere il fine comune della salvezza.
Sarebbe pertanto necessario rifarsi ai principi metafisici che sono comuni a tutte le nostre tradizioni originarie per ritrovarvi la sorgente conoscitiva dei messaggi particolari rappresentati dalle nostre fedi; nello stesso tempo, occorre però mantenere ben distinti i riti specifici e preservare i caratteri di ogni forma religiosa, che solo così può continuare a essere ricettacolo della Grazia divina.