L’imam ‘Abd al-Halim Mahmud e lo Shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya (René Guénon)
La rivista OASIS ha pubblicato, lo scorso venerdì 27 Marzo 2020, un dossier speciale intitolato “I Fratelli Musulmani e al-Azhar: un confronto aperto”, a firma di Dominique Avon, storico Direttore degli studi presso l’Ecole Pratique des Hautes Etudes in Francia.
Nell’introduzione si citano tre documenti tradotti dall’arabo: una lettera dei Fratelli Musulmani intitolata “Consolazione differita e ricompensa meritata”, pubblicata il 23 Febbraio 2019 sul sito ufficiale dell’Organizzazione; la “Risposta dell’osservatorio di al-Azhar per la lotta contro l’estremismo alla dichiarazione del gruppo terroristico dei Fratelli”, pubblicata il 26 Febbraio 2019 sul sito ufficiale di al-Azhar e il progetto di una Costituzione islamica egiziana del 1978, redatta dall’Accademia delle ricerche islamiche di al-Azhar.
Sempre nella sua introduzione, l’autore del dossier afferma che “quarant’anni prima, tuttavia, studiosi di al-Azhar e Fratelli Musulmani manifestavano un consenso di fondo su ciò in cui doveva consistere uno Stato islamico ideale”.
L’autore indica, come esempio di questa presunta convergenza, il progetto di Costituzione islamica redatto dai membri dell’Accademia delle Ricerche Islamiche di Al-Azhar, “destinato a servire da modello per tutti gli Stati a riferimento islamico”. Dominique Avon ricorda che il progetto era stato commissionato nel 1977, in occasione di un Congresso internazionale organizzato dalla moschea-università del Cairo, dal Grande Imam di al-Azhar ‘Abd al-Halim Mahmud (1910-1978), e sostiene che esso era stato approvato da quest’ultimo poco tempo prima della sua morte.
L’espressione “consenso di fondo” usata da Avon, nella sua ambiguità, sembra suggerire che fosse esistito tra al-Azhar e l’ideologia dei Fratelli Musulmani, a un certo momento della storia contemporanea, non solamente un accordo sui principi islamici del governo temporale, ma anche un programma politico comune. Tuttavia, nonostante la tesi iniziale e il riferimento storico che dovrebbe presumibilmente illustrarla, non sono riuscito a trovare, nel resto dell’introduzione di D. Avon e nei testi tradotti, alcun elemento che permetta di confermare una tale opinione.
In generale, nella prospettiva di un rinnovamento intellettuale della civiltà islamica, si possono legittimamente avere delle riserve quanto al tentativo - o alla tentazione - di codificare i grandi principi della Shari’a sotto forma di una Costituzione elaborata sul modello delle costituzioni degli Stati-nazione moderni. Dal punto di vista dell’ijtihad, ovvero dello sforzo di interpretazione dei testi sacri compiuto dai sapienti in vista di un’applicazione intelligente della dottrina tradizionale, armonizzata al suo contesto, non si può che essere colpiti dalla confusione che è stata fatta tra Shari‘a e fiqh, riducendo la prima alle sole norme giurisprudenziali delle scuole tradizionali, soprattutto nel momento in cui si tratti di seguire delle interpretazioni e delle applicazioni legate a contesti storici particolari, ad esempio per ciò che riguarda le sanzioni legali (hudud).
Oltre alla sua propensione razionalista, uno degli errori del legalismo è quello di proporre un sistema chiuso e rigido, il quale fornirà soluzioni preconfezionate tutte prodotte secondo lo stampo di meccanismi giuridici. Un tale approccio riduzionista non sarebbe capace di riflettere l’ampiezza, la ricchezza e la profondità degli insegnamenti dell’islam, nemmeno limitandosi a quelli riguardanti l’esercizio del potere temporale e la Shari’a.
A questo proposito, è forse utile rievocare un fatto, aneddotico ma significativo, poiché rispecchia bene la posizione dell’imam ‘Abd al-Halim Mahmud riguardo a questa codificazione (taqnin). Si sa che su sua iniziativa l’Accademia delle Ricerche Islamiche aveva iniziato il suo lavoro, avviando differenti commissioni che riunivano esperti in diritto positivo, eruditi musulmani e giuristi provenienti da ciascuna delle quattro scuole di giurisprudenza islamiche.
Quando l’Accademia delle Ricerche Islamiche ebbe portato a termine la codificazione del diritto civile sulla base delle differenti scuole del diritto tradizionale e si apprestava a codificare il diritto penale seguendo il medesimo metodo, lo stesso ‘Abd al-Halim Mahmud, pur riconoscendo che si era personalmente ingaggiato per favorire il progetto, dichiarò pubblicamente che un tale lavoro di codificazione non aveva più ragion d’essere. Egli spiegò che nella misura in cui una quantità di opere relative alla legislazione musulmana in lingua araba illustranti casistiche diverse in materia di diritto fossero rimaste accessibili, i giuristi, i legislatori o i giudici avrebbero facilmente potuto riferirvisi direttamente. Concludendo, egli ricordava che “la religione è stata rivelata per servire come guida alla ragione”, un modo per dire che il tentativo di codificare la Legge religiosa nella forma di un corpus legislativo o di una serie di testi di legge rischiava di invertire l’ordine delle cose. Queste affermazioni compaiono in particolare in uno dei capitoli conclusivi del suo libro "Al-Layth ibn Sa‘d, imam ahl Misr" (Dâr al-Ma‘ârif, Il Cairo, p. 247). Lo stesso capitolo è stato inserito in una raccolta di fatwe di ‘Abd al-Halim Mahmud, edita sulla base di diversi scritti, corrispondenze e interventi pubblici in televisione o alla radio egiziane. Si veda “Fatâwâ al-imâm ‘Abd al-Halîm Mahmûd”, Dâr al-Ma‘ârif, Il Cairo, 5^ edizione, Vol. 1, p. 358.
Ciò posto, diventa allora naturale interrogarsi su un altro accostamento fatto da Dominique Avon. In effetti, dopo aver descritto succintamente il percorso di ‘Abd al-Halim Mahmud “Laureato alla Sorbonne, sufi, fondatore di un’associazione per la pubblicazione di testi mistici e professore di teologia”, Dominique Avon ricorda che il Grande Imam di al-Azhar “aveva frequentato l’Associazione degli Amici di René Guénon, fondata nel 1953, e aveva pubblicato in arabo Il filosofo musulmano: René Guenon ovvero Shaykh ‘Abd Wahid Yahya.” Egli aggiunge inoltre che “fu in quel momento che decise di ricusare e combattere le scienze umane e sociali che lui stesso aveva precedentemente insegnato”.
È bene precisare che il contenuto dell’opera ricordata da Dominique Avon fu in seguito arricchito e riadattato da ‘Abd al-Halim Mahmud, per essere inserito sotto forma di capitolo in uno studio consacrato alla corrente spirituale della confraternita Shadhiliyya, Al-madrasa al-shadhiliyya, pubblicato al Cairo nel 1968. Qui René Guénon non è più presentato come un “filosofo musulmano”, ma come un “conoscitore di Dio” (‘arif bi-Llah), cioè come un santo musulmano, come tanti altri, all’interno di un ordine contemplativo del sufismo ortodosso.
Di quest’ultima versione è stata pubblicata nel 2017 una mia traduzione in francese dal titolo: Un soufi d’Occident: René Guénon, Shaykh ‘Abd al Wahid Yahya (ed. Albouraq). Mi permetto di rinviare a quest’ultima opera, e in particolare all’introduzione da me curata, i lettori che desiderino maggiori approfondimenti sui legami tra René Guénon e ‘Abd al-Halim Mahmud, cosa che permetterà loro di valutare in quale misura e fino a che punto l’opera del primo ha potuto influenzare il secondo.
Mi limiterò qui a ricordare che lo Shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya Guénon e l’imam ‘Abd al-Halim Mahmud, a partire dal loro incontro al Cairo nel 1940, furono non solamente amici, ma soprattutto confratelli all’interno della scuola spirituale della Shadhiliyya, branca del sufismo nel quadro dell’islam sunnita ortodosso.
È in parte grazie ai suoi contatti con René Guénon che il Grande Imam di al-Azhar ha potuto contribuire a un rinnovamento della comprensione del sufismo nell’epoca contemporanea. Fatto degno di nota, il Grande Imam di al-Azhar iscrisse l’opera di René Guénon nei corsi di insegnamento di questa università nell’ambito della spiritualità islamica e della filosofia. Egli tradusse anche in arabo, adattandoli e facendoli conoscere, un certo numero di testi di René Guénon, in particolare nella lunga introduzione da lui dedicata al sufismo nella riedizione, nel 1952, del Munqidh min al-dalal, “Il liberatore dall’errore” del grande teologo e mistico musulmano del XII secolo Muhammad Abu Hamid al-Ghazali.
Egli stesso soprannominato, in ambito accademico, “l’Al-Ghazali del XX secolo", ‘Abd al-Halim Mahmud paragonava lo shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya, nella profondità della sua ricerca della Verità, all’autore della celebre Ihya’ ‘ulum al-din, “La rivivificazione delle scienze della Religione”.
Che si tratti dell’opera critica e chiarificatrice a livello dottrinale, degli insegnamenti relativi alla via iniziatica, del rinnovamento intellettuale nell’interpretazione delle scienze sacre, ma anche dello sforzo spirituale e della disciplina religiosa, si può dire che la funzione e la testimonianza vivente dei due sapienti ‘Abd al-Halim Mahmud ‘Abd al Wahid Yahya si svolsero, come a suo tempo nel caso di al-Ghazali, al servizio di una reale “liberazione dall’errore”.
Alla luce di questi chiarimenti, possiamo vedere che il legame storico tra René Guénon e ‘Abd al-Halim Mahmud non ha alcun rapporto con quanto suggerito dall’articolo di D. Avon, che si ingegna a ricercare gli sviluppi del movimento dei Fratelli musulmani in Egitto e le sue affinità eventuali con al-Azhar e lo stesso Mahmoud.
Non vogliamo qui assumere il ruolo di difensori di René Guénon o di ‘Abd al-Halim Mahmud, né di inquisitori dell’ideologia dei Fratelli Musulmani. Tuttavia, siamo sorpresi di vedere costruire una relazione apparentemente sillogistica tra René Guénon, colui che fu il Grande Imam di al-Azhar e i Fratelli musulmani.
Se ammettiamo che ‘Abd al-Halim Mahmud abbia incoraggiato, e non di più, la costituzione degli Stati islamici sulla base di un’applicazione rigorosa delle norme legali e giurisprudenziali del diritto musulmano classico, il fatto di sottolineare l’origine di questa esigenza politico-religiosa in parallelo alla vicinanza con René Guénon potrebbe lasciare intendere, molto semplicisticamente, che quest’ultimo abbia aperto le porte ai Fratelli Musulmani!
La metafisica tradizionale, il sufismo, la Shadhiliyya sarebbero dunque responsabili e complici di una realtà così distinta e distante?
Ciò che avvicinava ‘Abd al-Halim Mahmud e René Guénon era essenzialmente l’amore della Verità, la ricerca spirituale della Conoscenza, e anche un’affinità intellettuale condivisa nella coscienza della crisi del mondo moderno, coscienza che implicava per loro un combattimento intellettuale di fronte all’individualismo, al razionalismo, al materialismo e alle contraffazioni della religione.
La loro azione di testimonianza trae la sua forza da un approfondimento dottrinale e da un ingaggio spirituale nel quadro dell’exoterismo e dell’esoterismo tradizionale islamico.
Bisogna dunque distinguere nettamente tra l’intenzione, il metodo e le finalità proprie a René Guénon e ‘Abd al-Halim Mahmud e le critiche all’Occidente proprie dei Fratelli musulmani, ivi comprese le soluzioni da essi proposte in guisa di riforme sociopolitiche, puritanesimi, rivoluzioni civili e rivolte contro le istituzioni, in nome di un’interpretazione moralista e formalista del fiqh che tradisce lo spirito e le finalità superiori della Shari’a.
Il Grande Imam di al-Azhar in virtù della sua funzione religiosa godeva di una certa indipendenza, alla pari di un ministro, con la possibilità sia di prendere delle posizioni sul piano politico, sia di esprimere il suo disaccordo rispetto a quelle disposizioni legislative o decisioni politiche che avesse giudicato non conformi ai principi spirituali dell’islam e alla sua legge sacra. Lo faceva sotto forma di un consulto religioso (fatwa) e tramite canali istituzionali specificamente preposti a tale scopo.
Nel corso della storia, i sapienti e i maestri spirituali musulmani, compresi i grandi sufi, si tenevano lontani dagli intrighi dei palazzi e dalle attrazioni del potere in questo mondo, ma erano spesso chiamati ad intervenire per testimoniare la verità e difendere la priorità della giustizia richiamando i detentori dell’autorità temporale alle loro responsabilità, agendo con cortesia e donando saggi consigli ed esortazioni spirituali.
‘Abd al-Halim Mahmud e René Guénon, nonostante le loro qualità e funzioni, erano necessariamente soggetti alle imperfezioni umane. Detto questo, l’onestà intellettuale esige di saper discernere tra le funzioni e gli individui.
Per meglio far comprendere questa distinzione, fatte le debite proporzioni, mi sia permesso un paragone con il modello perfetto e infallibile del Profeta Muhammad (che la pace e la grazia divina siano su di lui) che riuniva in sé diverse funzioni. Senza voler essere esaustivi, ma per fissare delle coordinate come spunti di meditazione, Muhammad è allo stesso tempo Profeta, maestro spirituale e polo iniziatico delle turuq Le vie del mondo islamico., governatore di Medina, ma è ad esempio anche sposo, padre di famiglia e nonno.
Queste differenti funzioni formano insieme un prisma attraverso il quale si manifestano i molteplici gradi dell’Uomo Universale o Perfetto (al-insan al-kamil). Non si possono dunque separare, né si può confonderle, né tantomeno si può prendere alcuni elementi di una funzione per metterne in discussione un’altra.
I musulmani riconoscono e credono a Muhammad in quanto Profeta, ma anche in quanto polo spirituale, in quanto capo di Stato, in quanto nonno, ecc. Tutti questi aspetti costituiscono la Sunna Muhammadiyya, il modello e il metodo del Profeta Muhammad, secondo le dimensioni dell’interiore e dell’esteriore, in gradi gerarchici distinti e tutti necessari.
In conclusione, per tornare alle rispettive funzioni esteriori di René Guénon e ‘Abd al-Halim Mahmud, scrittore il primo, Grande Imam il secondo, è evidente che esse non esprimevano direttamente un maqâm, una stazione spirituale, ma erano necessariamente legate a un tempo e uno spazio determinati. Sebbene le loro funzioni esteriori non siano comparabili a quelle del Profeta Muhammad, fu tuttavia proprio grazie a queste stesse funzioni di scrittore, interprete delle dottrine tradizionali e iniziato al sufismo autentico che l’'imam ‘Abd al-Halim Mahmud riconobbe lo shaykh ‘Abd al-Wahid Yahya come un ‘arif bi-Llah, come riflesso dell’uomo universale, estinto nella Scienza divina.
Si potrebbe dire, in termini di taqlid ovvero di conformità alla tradizione, che le funzioni di scrittore e di Grande Imam non sono che delle possibilità, in sé relative, e che come tali non vanno assolutizzate, estrapolandole dalla loro qualità specifica e gerarchica, con l’intento sottile di criticarne una per screditare l’uomo nella sua unità. ‘Abd al-Halim Mahmud non ha quindi “tradito” la sua sensibilità al sufismo, né l’autorità religiosa che rappresentava sul piano dell’ortodossia exoterica islamica. Egli rimane ancora ai giorni nostri, in Egitto e nel mondo musulmano, un riferimento intellettuale e religioso, sia nell’ambito del sufismo sia in quello della teologia e della giurisprudenza.
Nel numero di Agosto del 1978 della rivista dell’al-Azhar, il Grande Imam scriveva, in arabo, che “le individualità non contano rispetto ai principi”, facendo così eco a un’espressione spesso ripetuta da René Guénon nelle sue opere. Entrambi hanno cercato di essere interpreti trasparenti dei principi tradizionali, e di realizzare, nelle loro vite, l’estinzione profetica di fronte a Dio, come servitori fedeli di Colui che è al-Wahid, al-Halim, l’Unico, l’Indulgente.
Questo articolo è stato pubblicato anche in francese sul sito mizane.info