Il vero dialogo al di là di vecchi e nuovi colonialismi
Che si tratti di colonialismo occidentale, di colpi di stato autoctoni più o meno eterodiretti o di mire espansionistiche di Paesi dell’Oriente, l’Africa contesa e vessata dovrebbe destare una particolare preoccupazione. Non solo da un punto di vista politico ma anche, e soprattutto, su un piano simbolico. In Africa si trovano antichissime comunità di ebrei e il Cristianesimo e l’Islam vi erano presenti molto prima che si radicassero in Europa. Basti pensare al discernimento intellettuale che Sant’Agostino, vescovo di Ippona, seppe indicare all’Occidente dopo la caduta dell’Impero Romano o al negus d’Abissinia che ospitò e riconobbe la sincera vocazione dei primi musulmani compagni del profeta Muhammad. Un attacco all’Africa – già operativo da tempo - rappresenta la violazione di un deposito sapienziale primordiale e speriamo che l’Italia e l’Europa sappiano condurre una politica diplomatica che tenga conto di questa ricchezza e che se ne possa fare tesoro su entrambe le sponde del Mediterraneo, al di là delle dialettiche ingannevoli tra colonialisti e finti liberatori dal colonialismo, che vogliono solo imporne un altro con un’altra forma.
Riportiamo, a tal proposito, l’intervento del giornalista Sebastiano Caputo, viaggiatore e fine osservatore della politica orientale e africana, pronunciato nel corso di “Fenix”, la festa dei giovani del partito Fratelli d’Italia, volto a cercare di sensibilizzare la politica italiana a un approccio meno ideologico-pragmatico:
Il Mediterraneo non come un mare che ci divide ma che ci unisce nel rispetto reciproco e nella pacifica convivenza della stessa casa comune. Il dialogo è la forma più alta contro la barbarie dell’omologazione e del sincretismo culturale e religioso. Occorre uno sforzo di diplomazia culturale in questo senso. Solo così, cioè promuovendo l'idea di un'Europa che non può non essere africana ed una Africa che non può non essere europea, è possibile costruire una prospettiva euro-africana, come esiste una prospettiva euroasiatica, che attenzione, non significa costruire l’Eurafrica o l’Eurabia, bensì costruire una grande comunità di destino.
Accanto al Piano Mattei ci sono i valori che incarnava Enrico Mattei, valori che hanno reso grande l’Italia nel mondo. Cosa ci ha insegnato Enrico Mattei? E come dobbiamo onorarlo oggi?
Per farlo occorre:
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Elaborare una politica estera mediterranea disallineata alla politica estera americana nella regione a meno che come accaduto in Libia nel 2016 non ci viene dato mandato dai nostri alleati americani in questo caso di agire autonomamente.
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Rispettare la Dignità della persona umana in Occidente, ma soprattutto affermare la dignità dell’Oriente. L’Oriente come fonte spirituale, come ritorno ai valori pre-politici. Li ci sono le comunità più antiche al mondo, tra cui quelle cristiane.
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Rivendicare il diritto a non emigrare, come diceva Papa Benedetto XVI, contro il diritto alla mobilità ad ogni costo.
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Rispettare prima di tutto il diritto sacrosanto dei popoli a vivere nella loro terra e ad autodeterminarsi.
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Studiare le cause della guerra per costruire la pace anziché aggiungere guerra alla guerra.
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Affiancare la diplomazia culturale con la diplomazia religiosa. Occorre sedersi al tavolo e affrontare il tema del dialogo inter-religioso, ricostruire l’incontro di civiltà.
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Farla finita con le guerre umanitarie e con le politiche fallimentari del regime change.
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Non applicare le sanzioni ma aiutare l’ascesa della società civile e contribuire alla costruzione della classe dirigente nei paesi dove le persone scappano”.