Cambiamento climatico e segni dei tempi
Quello del cambiamento climatico è un tema che riempie il dibattito scientifico e politico di questi tempi, con i canonici toni feroci che caratterizzano ormai sempre più frequentemente ogni confronto divisivo, senza peraltro portare neanche a delle soluzioni costruttive. L’uomo, nell’amministrazione di questo basso mondo, provoca degli effetti anche esiziali sullo stato del pianeta e dei suoi abitanti e interroga gli scienziati sulle cause e le soluzioni di prevenzione e risoluzione. Vorremmo contribuire a elevare e valorizzare queste considerazioni in senso verticale e utile e a riflettere su dei segni sempre più evidenti di costante e accelerato cambiamento.
In questi giorni, almeno in Italia, si assiste a fenomeni climatici devastanti che si articolano in forma di esplosioni apparentemente opposte tra loro: grandine, tempeste e pioggia nel Nord del Paese, incendi, fumo maleodorante, venti caldi e soffocanti, persino la distruzione di un convento francescano, nel Sud. L’effetto è però il medesimo: macerie, morte, terrore, scontri ideologici, podio per falsi maestri e falsi profeti. Sembra che queste due immagini, quella dei proiettili di grandine e quella dell’aria malsana, siano riunite in una sola, nella rappresentazione infernale che Dante fa del girone dei golosi: «Grandine grossa, acqua tinta e neve / per l’aere tenebroso si riversa; / pute la terra che questo riceve» (Inf. VI, 10-12). Non stiamo qui cercando un grazioso parallelismo letterario fine a se stesso, come tanto piace fare a molti, ma grazie a Dante, troviamo una funzionalità e un supporto nei segni evidenti di questo mondo. Nel canto in questione, Dante incontra una categoria di anime dannate, vessate da pioggia, fuoco, grandine e fango, cieche per la loro condizione. In seguito, la meditazione su questi segni fa riflettere il viandante sul Giorno del Giudizio e il suo maestro lo invita a tornare a una retta scienza e a ben ponderare il bene e il male in vista della perfezione.
Se davvero l’Occidente riconoscesse l’eredità intellettuale di questo maestro, richiamerebbe se stesso a una declinazione intelligente della scienza partendo dalla meditazione dei segni per cercare una reale conoscenza a partire da questi. Sembra invece che gli uomini insistano nell’incanto di ribadire che occorrono più scienza e più razionalità, ma, nonostante i grandi ingegni dell’Occidente e nonostante questa spasmodica ricerca di razionalità, pare che l’effetto ottenuto sia esattamente l’opposto: irrazionalità, disperazione, incapacità di affrontare qualsivoglia avversità, irrigidimento in una presunzione predittiva. Cosa manca agli uomini moderni rispetto a Dante? Qual è la differenza tra la perfezione della scienza di cui si parlava sopra e la scienza odierna? Si potrebbe rispondere che la differenza giace nell’intelligenza della fede. Chiariamo subito, a scanso di equivoci, che con intelligenza della fede non facciamo affatto riferimento agli atteggiamenti millenaristi di chi semina agitazione facendosi pericolosamente interprete della Scienza divina, dando solo argomenti a coloro che disprezzano la religione. Ma si tratta di una mera dialettica tra profani. Troppo spesso, infatti, coloro che si ritengono e si professano religiosi operano esattamente come i profani e la religione non ha influenza sui loro pensieri e le loro parole, senza che di ciò si rendano conto. Un materialismo solido opera in associazione a un altrettanto rigido sentimentalismo, che ne è solo un naturale sviluppo. Per reagire a questa cecità occorre ripristinare la vera intellettualità e la tradizione dottrinale, inscindibili tra loro, e per fare ciò occorre iniziare ribadendo che la religione non è un fatto moralistico, sentimentale, antropologico o individuale. Sembra che l’Occidente abbia dimenticato questa mentalità che però gli è stata connaturata e che fino alla fine deve essere ricordata. Colpisce, ad esempio, notare come molti maestri occidentali, nel Medioevo, ma non solo, per cercare una declinazione in atto, relativamente a qualunque argomento (la lingua, la politica, il clima, l’economia…), partissero sempre dal Principio e dalle Scritture di riferimento.
Si tratta di scorgere il Principio nella molteplicità e di elevarsi dal relativo all’assoluto, senza dimenticare che nel relativo è presente l’impronta primigenia dell’Assoluto. La creazione è un insieme di simboli e segni sui quali l’uomo è chiamato a meditare, senza schematismi né pericolose associazioni, e la natura rappresenta il luogo della manifestazione del miracolo di questi segni ricollegati alla Verità. È bello, a tal proposito, notare come anche la lingua sacra dell’Islam esprima questa pluralità che riconduce al Principio: in arabo la parola ayat è traducibile con sia «segno», che «versetto» che con «miracolo»; il mondo creato da Dio è come un Libro aperto dove si possono leggere i segni del Creatore, contemplarLo attraverso i veli che lo proteggono dalla visione accecante
della Sua incommensurabilità, permettendo un processo di purificazione che lo riporta progressivamente verso la Sorgente, origine di ogni cosa. Questa non è una visione puerile, incapace di risolvere problemi degli uomini e antitetica alla scienza, come si vorrebbe sottilmente far credere, perché, da un punto di vista tradizionale, la religione e la scienza, sono distinte ma in equilibrio e armonia. Si pensi all’incipit del Vangelo di San Giovanni: «In Principio era il Lògos». Il Verbo si manifesta nella creazione che è la Sua opera e il mondo è un linguaggio divino per coloro che sanno comprenderlo: «Caeli enarrant gloriam Dei», è infatti detto nei Salmi. È bene ricordare che quanto detto scardina la validità delle varie interpretazioni naturalistiche – queste sì ingenue - che non fanno altro che invertire il rapporto tra simbolo e simboleggiato: il minore simboleggia il maggiore e mai viceversa, la natura è simbolo della Volontà divina e non il contrario.
Il mondo dipende da Dio e da Dio dipendono anche l’uomo e la sua funzione su questo basso mondo, sia generalmente come creatura tra le creature, che più particolarmente nelle singole circostanze della vita di ciascuno. Ecco allora che solo se l’uomo vivrà religiosamente, eserciterà “naturalmente” le sue responsabilità nel rispetto dell’ambiente e delle creature. Esiste infatti una corrispondenza tra l’uomo e l’insieme del Creato, i mondi visibili ed invisibili, fisici, sottili e spirituali, una armonia superiore e un ordine naturale tra il microcosmo e il macrocosmo. L’uomo che prega e serve Dio partecipa di una preghiera universale, come afferma il Corano: «I sette cieli e la terra e tutto ciò che in essi si trova Lo glorificano, non c’è nulla che non Lo glorifichi lodandoLo, ma voi non percepite la loro lode. Egli è indulgente, perdonatore» (XVII, 44) o ancora: «Volenti o nolenti si prosternano ad Allah coloro che sono nei cieli e sulla terra e anche le ombre loro, al mattino e alla sera» (XIII, 15).
Ribadiamo ancora una volta l’importanza di vivere ed esistere secondo una prospettiva intellettuale: la natura «incarna» un valore simbolico se e solo se è vista come simbolo, cioè come una possibilità di elevazione e conoscenza senza cadere nella trappola di associare, con un’interpretazione personale, l’esteriorità di un segno a positivo o negativo a un decreto divino perché è proprio sul piano della «acque inferiori», soprattutto nella confusione odierna, che avviene la contraffazione, impossibile invece sulle «acque superiori». Questa è stata, in secoli passati, la prospettiva virtuosa adottata da numerosi ordini, tra cui i francescani, il cui fondatore ha insegnato a vedere la provvidenzialità di tutti i segni che Dio manda, con lo sforzo di convertire il male in bene, e che proprio in questi giorni hanno subito l’incendio di un monastero, nei pressi della città di Palermo, contenente delle reliquie.
Un maestro come lo Shaykh Abd al-Wahid René Guénon vedeva un legame misterioso tra la Creazione incorporata nei simboli che ci appaiono su questo mondo e la prefigurazione dell’incarnazione del Verbo. Dio è più Sapiente e noi possiamo solo, con timore di Lui e rinnovando l’eredità dei maestri e dei santi che ci hanno lasciato una testimonianza di intellettualità pura, aderire a uno sforzo intellettuale di elevazione attraverso i Suoi segni e se fossimo veramente religiosi, cioè ricollegati alla Volontà divina, sosterremmo l’autorità politica invece di abbatterla, capiremmo che la scienza non va demonizzata e i religiosi non devono vivere complessi di inferiorità, piegandosi alle istanze che contribuiscono all’offuscamento della mentalità, per paura di ghettizzarsi – senza rendersi conto che è proprio così che si precludono le possibilità di autentica realizzazione. Cercheremmo una soluzione intelligente ai problemi climatici tutelando il mondo che ci è stato affidato, senza attaccamenti ai risultati, senza fare dell’ambientalismo una nuova religione e senza pretendere di plasmare un mondo a nostro piacimento. Un tale sforzo non sarebbe vano perché allo sforzo corrisponde una conversione, i cui esiti, esteriori e interiori, hanno una portata incalcolabile. La prospettiva però non è individuale o nazionale o planetaria, ma universale, con il cuore volto all’attesa della seconda venuta di Gesù, che non tornerà a risolvere la crisi climatica o i nostri problemi ma verrà a discernere il Bene dal male rimuovendo ogni orpello affinché rifulga la sola Verità.