L’Europa si può curare da se stessa con le virtù spirituali
Riflessioni a partire dalla Conferenza per la Sicurezza di Monaco

Durante la Conferenza per la Sicurezza di Monaco il vicepresidente americano Vance ha tenuto un discorso rivolto alle autorità e, più in generale ai popoli europei. Nel suo intervento Vance ha fatto riferimento due elementi principali: gli Stati Uniti hanno la necessità di dedicarsi maggiormente ad altre aree del mondo e dunque gli Europei devono pensare alla loro sicurezza; il vero problema securitario per l’Europa non è l’ingerenza esterna di Cina o Russia ma “la perdita di valori” tipici dell’Europa come la libertà di espressione, tema sul quale il vicepresidente americano ha insistito più volte, la capacità di fronteggiare le migrazioni, la democrazia. Questo discorso può essere un’occasione di riflessione sulla decadenza dell’Occidente e sulla direzione da percorrere per il futuro.
Il vicepresidente americano mostra come gli europei si accorgano, in ritardo, di vivere nella storia e si ricordino che la storia cambia in modo continuo e secondo dinamiche che non possono essere controllate dagli arsenali militari e dalle proiezioni analitiche.
Per secoli gli europei si sono raccontati di essere il faro della civiltà, del progresso e che, chiunque non aderisse modello che gli occidentali si erano creati di se stessi, andasse confinato nella barbarie. Questa narrazione ha manipolato non solo la lettura del presente ma anche quella del passato imponendo una lettura “illuminista”, “razionalista” e “materialista” della storia delle civiltà europee dei secoli precedenti.
Oggi tra guerre, caos, disordini politici e intellettuali, l’Europa si scopre disunita e impreparata alle sfide di questo ciclo storico. Il vicepresidente americano aggiunge anche che gli europei dovranno cavarsela da soli perché gli Stati Uniti non hanno né l’intenzione né le risorse per curarsi di noi.
È vero dunque che l’Europa può essere un nemico per se stessa ed è necessario che l’Europa si chieda chi sia, dove si trovi e in che direzione debba andare. C’è forse un’opportunità in queste “crisi”, etimologicamente intese come possibilità di “giudizio”, evidenziate dal vicepresidente americano. Finalmente l’Europa si accorge di vivere nella storia e che questa non obbedisce agli schemi ideologici che, dalla Rivoluzione francese in poi, sono diventati la parodia di un dogma di fede. Negazione del sacro, presunzione razionalista e progressismo sfrenato non hanno dato risposte ai problemi europei e spesso ne sono stati la causa.
C’è un’opportunità anche nel disimpegno americano sul nostro continente: l’Europa può coltivare un allineamento strategico con i propri alleati americani ma parallelamente ha la possibilità di riscoprire se stessa e la propria storia e di andare nella direzione “naturale” che le sue radici e persino la sua geografia le hanno dato.
Ci si può dunque liberare dalle catene delle ideologie che, in quanto artifici filosofici, non stanno al passo con i mutamenti della storia e, mentre innescano leziose e interminabili speculazioni, sono già antiquate e incapaci di dare risposte utili e concrete.
Il rischio pericoloso è però che alle vecchie ideologie se ne sostituiscano di nuove, sempre più sofisticate e sempre più ammalianti ma sempre con lo stesso nefasto effetto, quello di distrarre gli uomini e i popoli dal senso della storia. Se infatti la crisi del mondo moderno diventa l’oggetto di una speculazione analitica fine a se stessa, può diventare una trappola e sfociare in un atteggiamento miope che crede di guardare “in alto” ma guarda indietro, crede di andare in profondità ma si ferma alla lettera alla fine si dimostra ancor più moderno della modernità che vorrebbe criticare.
Fare tabula rasa delle ideologie apre dunque la possibilità di riscoprire per davvero le radici dell’Europa e, alla luce di queste, comprendere verso quale direzioni gli europei debbano volgersi.
La storia europea ci insegna che l’unità dei popoli europei non è mai stata una questione di omogeneità e uniformità etnica, religiosa ed economica. Ci insegna piuttosto che quando tutte le componenti dei popoli si sono integrate e sostenute reciprocamente, dando il proprio contributo alla causa comune, si è realizzato un beneficio di carattere intellettuale che, in sovrappiù, ha avuto effetti positivi anche sulle condizioni contingenti.
Analogamente non possiamo fare confusione tra radici dell’Europa e valori americani, tra mondo moderno e mondo occidentale. Le radici dell’Europa non sono le radici dell’America e la modernità, di cui Europa e America sono artefici, non corrisponde alla vera natura dell’Europa. Se i “valori” rientrano nel campo del relativo e dunque del mutevole, sarà forse più importante parlare di virtù, alle quali fare riferimento.

All’interno di molti edifici europei, religiosi e non, si trovano spesso delle raffigurazioni delle virtù: Fides, Spes, Iustitia, Temperantia, Libertas. In alcuni casi, rispetto a queste raffigurazioni sono specularmente rappresentati i vizi che tendono a negare queste virtù. Il vizio opposto alla Libertas è la cupiditas. In questo senso, la libertà, per come ce la trasmette la storia europea, non è il caos del relativismo delle opinioni ma la liberazione da quella cupidigia che oggi vediamo sempre più impersonata dalla prepotenza di voler affermare a tutti i costi una visione ideologica in modo esclusivo. La democrazia, allo stesso modo, si consuma se diviene il volgare terreno di battaglie ideologiche invece di cercare il senso della comunità e dell’elevazione dei suoi cittadini. In questo senso, libertà e comunità sono radici dell’Occidente.
La storia e la geografia dell’Europa donano inoltre il lascito della necessità dell’Europa di non ignorare la sua dimensione mediterranea. Dai tempi del Sacro Romano Impero di Carlo Magno, infatti, ogni volta che l’Europa ha fornito all’Oriente un supporto di dialogo autentico, che non si limitasse ai semplici rapporti affaristici, ha beneficiato di questo dialogo su più piani.
La posizione dell’Europa, che guarda all’altra sponda del Mediterraneo, che gli analisti definirebbero strategica, ma che sarebbe meglio definire provvidenziale, è un’opportunità “naturale” da cogliere in questa fase di dimenticanza di se stessi perché è proprio questo lo spazio geografico in cui è collocata l’Europa.
Chi sono i nostri interlocutori mediterranei? Oggi l’altra sponda del Mediterraneo offre la possibilità di relazionarsi con popoli diversi, persino nella decadenza e nella secolarizzazione, e con una mentalità più vicina alle radici dell’Europa di quanto non si possa credere. Sono popoli e Stati non uniformi tra loro, ognuno con la propria storia, alcuni in situazioni di benessere economico, altri in condizioni di crisi. Senza scadere in un orientalismo sentimentale, si può notare come per tutti i Paesi del Nord Africa, ad esempio, la religione sia l’elemento centrale nel definire l’identità di un popolo e la dimensione mediterranea sia lo spazio naturale riconosciuto entro cui vivere e relazionarsi con le altre nazioni.
Riscoprire le radici dell’Europa significa riscoprire la matrice del linguaggio del dialogo con questi popoli, quel verbo che non può essere esclusivamente quello della grammatica standard degli affari economici. Anche se, apparentemente, le lingue e i metodi sono diversi, i popoli europei condividono qualcosa con i Paesi del Mediterraneo, pur nella secolarizzazione: la tensione intellettuale per il sacro che è al di sopra delle differenze formali e che non può e non deve essere strumentalizzata. Se gli europei l’hanno dimenticata, gli altri popoli non devono commettere l’errore di chiudersi e insuperbirsi a causa della dimenticanza occidentale e asserragliarsi in un fronte alternativo.
In questa fase l’Europa ha la necessità e al tempo stesso la possibilità di riscoperta di se stessa e delle proprie radici che sono nella naturale tensione delle civiltà all’elevazione. Questo processo non può essere confuso con l’imposizione di valori artificiali né tantomeno con l’imposizione di una forma di religione o di non religione.
Lo scopo di questa riscoperta non può essere quello di illudersi di fermare la decadenza approdando nuovamente alla fine della storia o alla vittoria dello scontro di civiltà, per citare due vecchie tesi preponderanti all’inizio di questo secolo, ma quello di realizzare piuttosto il Fine della storia che è quello della Conoscenza.