I frutti e le radici. Considerazioni sullo studio della Bibbia a scuola

La proposta del ministro dell’Istruzione di introdurre lo studio della Bibbia nella Scuola Primaria ha suscitato un vivace dibattitto nell’opinione pubblica italiana con gli ormai consueti toni di polemica fine a sé stessa, di analisi sterile, di critica o di approvazione inconcludenti, sia da parte dei sostenitori che da parte dei detrattori dell’idea.
La proposta del ministro si inserisce in un più ampio progetto di revisione delle Indicazioni nazionali, cioè delle linee guida che lo Stato fornisce alle scuole e ai professori per raggiungere i fini educativi condivisi. Allo studio della Bibbia alle scuole elementari dovrebbero aggiungersi uno studio più approfondito della storia dell’Occidente e più centrato sull’Italia, l’apprendimento facoltativo del Latino alla Scuola Secondaria di primo grado e il ritorno alla Geografia come materia distinta dalla Storia.
Tra le varie proposte, sarà interessante concentrarsi sull’introduzione dello studio della Bibbia, proposta certamente innovativa, che si presta all’interdisciplinarità e che rimette al centro una riflessione sulla necessità di riscoperta delle radici occidentali. Lo scopo di questo articolo è quello di cercare di valorizzare la proposta del ministro cercando di scoprire come, attraverso lo studio a scuola della Bibbia, possano aprirsi delle possibilità nella riscoperta della natura di un popolo, delle sue radici culturali e delle sue relazioni con gli altri e di quanto questo sia funzionale alle esigenze della mentalità occidentale.
«Non c’è altra oscurità che quella dell’ignoranza»
Innanzitutto, lo studio della Bibbia a scuola può arginare una pericolosa forma di ignoranza. Se si esclude l’anomalia della mentalità moderna, la storia dell’Europa ci insegna che la religione è stata l’elemento centrale nell’esistenza delle civiltà che si sono susseguite ciclicamente, non come «materia di studio» o approfondimento culturale, ma come supporto naturale all’intellettualità, alla vita degli uomini e delle donne nella vita su questo mondo, in vista dell’Altro.
Oggi, invece, oltre alla dimenticanza di una prospettiva metafisica e alla riduzione della religione a mero fattore etico e morale, si è persino persa la conoscenza di chi sia Dio, di cosa voglia dire essere monoteisti, di chi sia un profeta, di cosa sia la religione, di quale apporto intellettuale possa dare alla società, al punto da configurare un vero e proprio analfabetismo religioso.
La Bibbia può sostenere inoltre la pedagogia scolastica nell’insegnare il metodo e l’approccio al testo sacro, che non può essere né romantico né ideologico. Un approccio di questo tipo sarebbe scorretto di fronte a qualsiasi opera, letteraria, artistica o culturale che sia perché rende invisibile e inaccessibile la componente simbolica.
Alla base del pericolo di leggere un testo sacro in modo ideologico, si nasconde infatti un’altra ignoranza, quella di non sapere cosa sia un testo sacro e di come porsi di fronte a esso, confondendo, come sempre più spesso accade, il sacro con il profano. La conseguenza di questa ignoranza è la tracotanza di pretendere che il testo sacro sia ciò che ci si immagina che esso sia e che il suo contenuto sia la conferma delle nostre visioni individuali. Bisognerebbe invece vedere ea quae sunt, sicut sunt, le cose così come sono veramente, come insegnava Federico II, rispettando la loro natura autentica e anche la nostra natura di uomini e donne.
Invece, quando la religione si studia e si approfondisce, sempre più spesso lo si fa da un punto di vista anti-religioso, fino a svuotarla del suo vero significato. Il mondo moderno, infatti, dapprima ha osteggiato e attaccato la religione, poi l’ha esclusa, infine ha operato il tentativo di appropriarsene. Ed ecco che, da un lato nella Bibbia non si vuole vedere altro che un modo per legittimare il proprio desiderio romantico e conservatore di tornare a essere quello che eravamo «una volta»; dall’altro la si vuole invece leggere come un testo culturale o letterario per fuggire dalla natura religiosa e dallo sforzo di approfondimento del testo e di sé stessi al quale la Bibbia e i libri rivelati, invece, richiamano. Ma così facendo non c’è più Bibbia, non c’è più rivelazione, non c’è più vera cultura, non si vede più il passato per ciò che è. Restano solo il romanticismo, la hybris e le illusioni che si sono costruite.
Un tesoro di cose nuove e antiche
Lo studio della Bibbia, oltre a curare l’ignoranza, sostiene la conoscenza. Viviamo in un ciclo storico in cui la riscoperta sana delle radici intellettuali è fondamentale, non per coltivare un’erudizione arida ma per scoprire davvero chi siamo e come dobbiamo porci di fronte a una fase storica in cui, sia a livello internazionale, che a livello individuale sembra predominare uno smarrimento irrazionale. Bisogna dunque sgomberare il dibattito sull’introduzione dello studio della Bibbia da visioni di parte. Non si tratta di studiarla, conoscerla e approfondirla per legittimare una tesi piuttosto che un’altra, ma di apprezzarla per ciò che è e per ciò che ha rappresentato e continua a rappresentare nella storia dell’intellettualità dell’Occidente.
Occorre infatti prestare attenzione al pericolo delle chiusure identitarie che offuscano il senso della storia presente e passata e occultano persino la ricerca di se stessi. Scoprire le proprie radici non significa incatenarsi al letteralismo, svuotando di significato i testi sacri o, peggio, piegandoli a una visione ideologica e prepotente delle cose. L’esclusivismo religioso e quello anti-religioso che vanno di pari passo con la propaganda e con la falsa narrazione dello scontro di civiltà, non hanno nulla a che vedere con la ricerca sincera della Verità.
Se l’Italia e l’Occidente vogliono ritrovare se stessi per affrontare le sfide di un mondo che cambia sempre più velocemente, non devono costruire un’opposizione artificiosa a un non ben definito Oriente, asserragliandosi dietro una lettura di comodo della Bibbia. Dovrebbero piuttosto riscoprire con umiltà il senso del Sacro, che è nel rapporto tra trascendenza e immanenza, nella vita, nella storia e nelle radici. Questa è una scienza utile perché porta dei frutti autentici e, come ricorda il Vangelo di Matteo: «Dai loro frutti, dunque, li potrete riconoscere».
L’Italia ospita al suo interno la più antica comunità ebraica d’Europa, è l’unico Paese al mondo a essere sede dell’autorità spirituale che guida la Chiesa Cattolica ed è anche l’unico Paese a non riconoscere l’Islam come religione. Questo è un importante segno da un lato dell’importanza del lascito sapienziale religioso che abbiamo ricevuto in eredità - e, di conseguenza, della miopia di non volerlo coltivare - dall’altro è il segno di una paralisi intellettuale, che impedisce di riconoscere il patrimonio spirituale dell’altro e dell’utilità vera che questo può avere nel valorizzare la tutela dell’eredità ricevuta. In questo senso, la Bibbia può aprire una nuova prospettiva e una nuova mentalità nello sviluppo intelligente della nostra eredità. Le narrazioni della Creazione e dell’Apocalisse, dei profeti, di Gesù e dei suoi apostoli non sono infatti storie del passato ma propongono temi, dissidi, pericoli, aperture e possibilità che sono sempre vivi e operativi.
Dalle radici ai frutti
Una volta sgomberato il campo dalle possibilità di uno studio distorto o forzato della Bibbia, cerchiamo di scoprire quali radici della nostra cultura possono essere rivivificate da un approfondimento della Sacra scrittura. Sin dall’origine della pòlis l’elemento che ha contraddistinto l’intellettualità occidentale è stata la ricerca delle cause, fino a risalire alla Causa Prima. Questo è il lascito della filosofia greca e di autori come Platone e Aristotele. Oggi questa ricerca è parodiata dall’analisi sterile e interminabile che non porta mai a una conclusione efficace, oppure da opposizioni viscerali sempre più accese e sempre più vuote. Eppure, proprio come dopo le invasioni barbariche, l’intellettualità classica è stata integrata e rinvigorita dagli intellettuali cristiani, così oggi la Bibbia può sostenerci, già dalla scuola, in una ricerca intelligente delle cause secondo una prospettiva verticale. Oggi le invasioni barbariche da arginare sono infatti quelle dell’ignoranza, della vanagloria, della dimenticanza e della prepotenza, che sempre più imperversano incontrollate.
Ma la Bibbia è stata soprattutto un riferimento per molti dei filosofi e degli autori che hanno contribuito a costruire la cultura occidentale.
Dante è stato un intellettuale e un maestro che ha avuto un ruolo centrale nella creazione di una cultura italiana. Non solo perché ha contribuito a sostanziare il nostro patrimonio linguistico, letterario e retorico ma anche, e soprattutto, perché ha insegnato un indirizzo nella ricerca: partendo dai princìpi ha sempre cercato una soluzione per i problemi dei suoi contemporanei. Di qualunque questione si occupasse, linguistica, politica o poetica che fosse, Dante partiva sempre dalla Scrittura, alla luce della quale cercava una ricaduta concreta e che fosse di beneficio, non ad speculandum sed ad opus – come scrive – non per speculare ma per operare.
Per Dante il male che attanagliava la sua epoca era nella cattiva interpretazione che i suoi contemporanei davano del rapporto tra autorità spirituale e potere temporale. Ha dunque insegnato e ammonito i suoi lettori al fatto che un errato riferimento alla Sacra Scrittura genera incomprensioni e scontri irrazionali mentre un approfondimento della Bibbia, dei Vangeli e degli insegnamenti di Gesù è una guida sia alla fruizione delle sue opere che al discernimento intellettuale relativo alle sfide e ai problemi di qualunque epoca. E noi? Riflettiamo ancora su questi temi che hanno fatto parte per secoli della riflessione degli autori che hanno contribuito a costruire la nostra cultura?
Sempre Dante ci ricorda che nella lettura della Sacra Scrittura non ci si può fermare al mero senso letterale ma ci sono quattro sensi delle scritture: letterale, allegorico, morale e simbolico. E proprio quella del simbolo è una dimensione nei confronti della quale oggi la cultura occidentale è quanto mai cieca. Su questa incoerenza intellettuale interveniva Galileo Galilei nella lettera a padre Benedetto Castelli, affermando «non poter mai la Scrittura Sacra mentire o errare, ma essere i suoi decreti d'assoluta ed inviolabile verità. Solo avrei aggiunto, che, se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori, in varii modi: tra i quali uno sarebbe gravissimo e frequentissimo, quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole». Colui che è considerato il padre del metodo scientifico europeo ammoniva rispetto a un approccio letteralista nei confronti della Sacra Scrittura, perché con tale chiusura mentale non ci sarebbero state né una vera scienza né una vera religione.
Se viene meno la coscienza del simbolo, viene meno automaticamente la percezione di ciò che è l’immanenza. Scriveva Shakespeare che all the world’s a stage, and all the men and women are merely players. Questo autore, attraverso il simbolismo del teatro, ha rappresentato il bene e il male che circondano l’uomo, la tensione di alcuni uomini e donne verso l’elevazione e la caduta rovinosa nella corruzione di altri. Nella rappresentazione universale delle possibilità positive e negative, l’uomo ben guidato mantiene una fede nella Provvidenza e nella Ragione superiore che governa tutte le cose. Nella parte finale dell’Amleto, il protagonista viene sfidato da Laerte ma manifesta l’indisposizione al combattimento. Invitato da Orazio a non combattere, Amleto, sapendo che deve aderire al suo dovere, consapevole di non potersi sottrarre, risponde: «c’è una speciale Provvidenza anche nella caduta di un passero». Si tratta di una citazione evangelica, ripresa dal Vangelo di Matteo. L’importanza di recitare bene qualunque parte del copione, la fede nella Provvidenza, la provvidenzialità di ogni segno. Anche questo la Bibbia ci può educare ad apprezzare.
La dimensione totalizzante dell’individualismo, che opera in ogni ambito, è uno dei segni distintivi della decadenza della nostra epoca. Eppure, la nostra letteratura ci insegna che si tratta di un pericolo diffuso e che, alla luce della Sacra Scrittura può essere combattuto e superato. Persino l’epica cavalleresca, che narra le imprese di prodi cavalieri, riflette sulla cecità dell’individualismo e su come questo sia un ostacolo per la conoscenza. Nell’Orlando furioso la pazzia di Orlando ha fatto sì che il suo senno finisse sulla luna. Il cavaliere Astolfo, dopo l’incontro con i profeti Enoch ed Elia, viene guidato da «l’apostolo santo», San Giovanni a un’ascesa verso la luna. Qui Astolfo capisce quanto gli uomini si affannino eccessivamente e inutilmente per le vicende terrene e personali e quanto poco si curino dello Spirito. Molti uomini si credono assennati ma il loro senno è sulla luna, assieme alla memoria dei popoli un tempo grandi e poi caduti rovinosamente.

In questo senso lo studio della Bibbia può supportare la conoscenza e la scoperta di autori che rientrano nella cultura occidentale, come Dostoevskij, che hanno indagato il difficile rapporto che gli uomini intessono con l’immanenza e la trascendenza. Si tratta di un’altra questione centrale per l’Occidente, soprattutto in questi tempi e che l’autore russo ha trattato ripetutamente cercando di indagare le possibilità dell’uomo di sfuggire alla degradazione per cercare una dimensione di elevazione attraverso la fede e la fedeltà all’insegnamento di Gesù. Il metropolita Hilarion ha definito Dostoevskij come l’unico autore russo che ha accettato Gesù nel suo cuore e che ha cercato il Bene e la Provvidenza in ogni aspetto della vita, secondo l’insegnamento di San Paolo, che, nella prima lettera ai Corinzi, dice che, in questo mondo, gli uomini sono come dei bambini: pensano di capire ma non si rendono conto di non sapere e vivono le cose per speculum et in aenigmate, cioè come attraverso uno specchio e in modo confuso, prima che arrivi il momento di vederle faccia a faccia.
La Sacra Scrittura è stata dunque una radice per i capisaldi della cultura occidentale e, in questo senso, costituisce la radice delle nostre radici. Senza scadere in un catechismo confessionale, il suo studio può aprire non solo alla riscoperta delle nostre origini ma, di conseguenza, anche alla possibilità di sapersi muovere con intelligenza in un mondo sempre più disordinato e pericoloso, senza chiusure miopi, senza aperture ingenue e senza commettere l’errore di scambiare le radici per frutti.