L’ex Gran Mufti d’Egitto Ali Gomaa sulla la questione della diversità religiosa e la Salvezza

L’ex Gran Mufti d’Egitto Ali Gomaa sulla la questione della diversità religiosa e la Salvezza
In copertina L’ex Gran Mufti d’Egitto Ali Gomaa durante una puntata del programma televisivo egiziano Nûr al-Dîn, “La luce della religione”

Nella newsletter di Maggio 2024 di Dialogue Across Borders, una raccolta di traduzioni riassuntive di articoli di stampa in arabo riguardanti le relazioni interculturali e interreligiose, con una certa attenzione per le relazioni tra musulmani e cristiani, il redattore capo Matthew Anderson, anche direttore del Center for Arab-West Understanding, menziona un intervento televisivo dell'ex Gran Mufti d'Egitto Shaykh 'Ali Gomaa durante il mese di Ramadan, riguardo alla diversità religiosa e alla salvezza nell'Islam.

Ogni anno, durante il mese di Ramadan, la televisione egiziana trasmette una serie di programmi speciali. Quest'anno l'ex Gran Mufti d'Egitto, 'Ali Gomaa, ha così condotto un programma televisivo serale chiamato Nûr al-Dîn, "La luce della religione", il cui format prevedeva che bambini e ragazzi ponessero all'influente leader spirituale una serie di domande teologiche ed etiche sull'Islam.

Nel corso del mese, molte delle sue risposte hanno suscitato commenti in Egitto e sui social media, ma una in particolare sembra essere stata la più controversa. Durante la puntata dell'11 marzo, una bambina, forse di 10 o 11 anni, chiede al Gran Mufti perché solo i musulmani vadano in paradiso, visto che esistono altre religioni come il cristianesimo, che hanno anch'esse profeti e libri sacri. Lo Shaykh 'Ali Gomaa risponde che Dio non ha detto questo e cita, a proposito un noto versetto del Corano:

Quelli che credono [i musulmani], gli ebrei, i cristiani e i sabei - tutti coloro che credono in Dio e nell'Ultimo Giorno e fanno il bene - avranno la loro ricompensa presso il loro Signore e non dovranno temere, non patiranno tristezza. (Corano, II: 62)

Il prof. Matthew Anderson aggiunge che, da quanto ha potuto osservare, alcuni studiosi musulmani hanno criticato la risposta dell'ex Gran Mufti come una interpretazione errata del versetto coranico e della tradizione islamica più in generale, proponendo un'interpretazione che vedrebbe l'abrogazione del valore salvifico delle religioni precedenti all'Islam e dunque l'esclusività rispetto alle possibilità di salvezza dell'anima. Altri si sono trattenuti dal giudicare e hanno dichiarato di aver bisogno di ulteriori informazioni per determinare la vera posizione di 'Ali Gomaa sulla possibile salvezza dei non musulmani.

La newsletter conclude dicendo che "i lettori cristiani si riconosceranno in questa conversazione in quanto la teologia cristiana ha già affrontato questioni simili. I non cristiani possono essere salvati? E le persone che non hanno mai sentito il messaggio cristiano? Come nel caso di 'Ali Gomaa e delle varie risposte musulmane a questo recente scambio, i cristiani hanno articolato una serie di posizioni su queste domande nel corso dei secoli. In entrambe le tradizioni troviamo credenti che desiderano difendere la verità unica e il significato religioso della loro fede, affermando al contempo che la misericordia divina può raggiungere persone al di fuori della loro tradizione di fede. La risposta del Gran Mufti alla domanda di una giovane ragazza offre un interessante spaccato sul modo in cui tali questioni sono intese nell'Egitto moderno".

Questo ultimo accenno alla teologia cristiana ci ricorda infatti la visione esclusivista espressa nell'affermazione extra ecclesiam nulla salus come parte della dottrina ufficiale della Chiesa cattolica che è stata insegnata per molto tempo ai fedeli cristiani. Da parte musulmana, la situazione non sembra molto più favorevole: una maggioranza ritiene che la validità e la salvezza siano una prerogativa esclusiva dell'Islam e dei musulmani, in nome di un'interpretazione riduttiva di alcuni versetti come «la religione presso Dio è l'Islam» o «Dio non accetta altra religione che l'Islam», confondendo l'unicità della religione, e il senso universale dell'Islam come «abbandono pacificato alla volontà di Dio», con la manifestazione storica di quest'ultimo.

L'eminente studioso egiziano-americano Tarek al-Gawhary, che ha studiato personalmente con lo Shaykh 'Ali Gomaa nel corso di trent'anni, ha offerto una delle spiegazioni più articolate sulla questione, attraverso una lezione video sul suo canale YouTube. Il professore chiarisce e difende l'interpretazione dell'ex Gran Mufti, ribadendo allo stesso tempo i punti salienti della dottrina della teologia sunnita classica rispetto alla diversità religiosa e alla questione complessa della salvezza dei non musulmani, sia prima che dopo la venuta dell'Islam. Interessante notare come, a sostegno dei suoi commenti, al-Gawhary menzioni l'autorità sapienziale di uno dei più grandi maestri dell'Islam, l'imam Muhammad Abu Hamid al-Ghazali, riferendosi ad alcuni dei suoi insegnamenti che richiamano all'universalità, primordialità, superiorità e infinità della misericordia divina che non è mai condizionata dalla misura e dal giudizio umano e che può integrare e salvare tutti coloro che Dio vuole.

Tarek al-Gawhary lamenta innanzitutto, giustamente, come la questione di chi sarà salvato e chi non lo sarà sia diventata un'ossessione per molti musulmani oggi, mentre solo Dio è Giudice e Onnisciente, e non ha chiesto loro di occuparsi della salvezza degli altri al Suo posto per determinare chi sia destinato al Paradiso e chi all'Inferno. "In realtà, il Paradiso è per coloro che Dio ha scelto, perché solo Lui conosce la verità", afferma al-Gawhary.

Secondo il professore, credere che solo i musulmani andranno in Paradiso è una concezione grossolana e superficiale della salvezza, che non corrisponde affatto alla dottrina tradizionale dell'Islam espressa nel Corano e interpretata dai sapienti musulmani. Tarek al-Gawhary intende denunciare e confutare le critiche di coloro che si sono affrettati a rimproverare ad 'Ali Gomaa di aver affermato, citando questo versetto coranico, che la salvezza sarebbe accessibile anche nelle altre religioni oltre che nell'Islam. Secondo al-Gawhary, ciò che l'ex Gran Mufti intendeva dire è che i musulmani non sono gli unici, ma sono solo gli ultimi nell'ordine cronologico delle rivelazioni; di conseguenza, i credenti sinceri e onesti delle altre religioni rivelate prima dell'Islam saranno salvati.

Per giustificare questa interpretazione del versetto, che attribuisce anche al suo maestro 'Ali Gomaa, Tarek al-Gawhary precisa innanzitutto che il versetto citato sopra - "tutti coloro che credono in Dio e nell'Ultimo Giorno e fanno il bene - avranno la loro ricompensa presso il loro Signore" - fa parte dei versetti detti "informativi", cioè che affermano una verità immutabile, e che quindi non possono mai essere abrogati da un altro versetto coranico. Tuttavia, secondo la maggioranza degli esegeti, questo tipo di versetti con una portata generale possono essere "specificati" da altri che ne condizionerebbero il senso e ne limiterebbero quindi la portata sul piano contingente. È su questa base che una certa teologia islamica, menzionata anche da Tarek al-Gawhary, sostiene che la salvezza accordata agli ebrei, ai cristiani e ai sabei sia valida solo prima della venuta dell'Islam e del Profeta Muhammad (Che la Grazia e la Pace di Dio siano su di lui), sigillo dei Profeti. Il versetto farebbe quindi riferimento allo status di queste comunità prima della rivelazione coranica.

Pur respingendo la possibilità di abrogazione della verità contenuta in questo versetto coranico, Tarek al-Gawhary ricorda allo stesso tempo la teoria diffusa nell'ambito della teologia sunnita classica secondo la quale il messaggio dell'Islam e la sua legge sacra avrebbero "abrogato" le religioni precedenti, il che implicherebbe di fatto la fine della loro validità salvifica, tesi in ogni caso contraddetta dall'evidenza della storia sacra dell'Islam, durante la vita del Profeta e dei Califfi ben guidati e oltre. Si pensi, per esempio, alla visita del vescovo di Najran, nell'attuale Yemen, con una delegazione di Cristiani, presso il Profeta Muhammad a Medina, dove li accolse con rispetto, permettando loro di pregare nella moschea. Dopo questo incontro di "dialogo islamo-cristiano" fu stabilito un accordo di sostegno reciproco che prevedevo la protezione perpetua dei Cristiani da parte dei Musulmani. Similmente, il califfo Umar che, entrato a Gerusalemme, si astenne dal pregare in una delle chiese per evitare che i Musulmani pensassero che fosse diventata una moschea. Li ancora una volta fu stabilito un patto di buona intensa e rispetto reciproco tra Musulmani e Cristiani.

Nella proposta di al-Gawhary troviamo un altro passaggio importante: "ricevere il messaggio è una delle condizioni imprescindibili perché qualcuno sia obbligato a credere o a non credere", e quindi venga giudicato. È in questo contesto che viene citato il grande imam al-Ghazali e la sua opera Faysal al-tafriqa bayna al-islâm wa al-zandaqa ("Il criterio di distinzione tra l'Islam e la miscredenza"), che menziona lo status di tutti coloro che, dopo la venuta del profeta Muhammad, non hanno potuto accedere ad una conoscenza vera dell'Islam e del Profeta; in altri termini, costoro non hanno dunque realmente ricevuto il messaggio e sono quindi scusati per non aver accettato l'Islam, così che la salvezza per i credenti tra di loro sarebbe possibile, anche dopo la venuta dell'Islam.

Tarek al-Gawhary fa una analogia tra l'epoca di al-Ghazali e quella contemporanea, spiegando anche come l'ignoranza, la confusione, i pregiudizi e la disinformazione sull'Islam e sul Profeta impediscano di riconoscere e conoscere l'Islam nella sua autenticità e questo equivale, in fin dei conti, a non ricevere il messaggio.

È forse utile ricordare anche le parole del Califfo 'Umar, riportate dall'imam Jalal al-Din al-Suyuti, che a seguito di una vittoria, ai musulmani che insistettero per portarlo solennemente in trionfo nelle strade come conquistatore, disse: "Questo mi ha turbato, poiché ho temuto che abbiate ceduto a considerarvi grandi, divenendo orgogliosi; poiché, o genti dell'Islam! È la Moderazione (la Temperanza) ad avervi fatto grandi. Proseguite dunque in quella via nella quale Dio, Grande e Glorioso, vi ha esaltati". Al-Suyuti, The History of the Temple of Jerusalem, Cambridge University Press, 2013, p. 167

A queste spiegazioni vorremmo aggiungere anche queste righe dell'imam al-Ghazali tratte della stessa opera citata da Al-Gawhari: "Sappi che la misericordia di Dio è infinitamente grande, che abbraccia ogni cosa, e che non si possono misurare le 'realtà divine' con criteri razionali. [...] Inoltre, devi sapere che, oltre alle tradizioni e ai racconti che hanno udito, gli uomini della visione interiore (ahl al-basâ'ir) hanno confermato la prevalenza della Misericordia e la sua immensità anche sulla base della loro intuizione spirituale (kashf)."

L'aneddoto della risposta del Gran Mufti alla domanda di una giovane ragazza, anche alla luce di questi ultimi insegnamenti dell'imam al-Ghazali, ci permette di chiarire da un punto di vista più universale, senza passare da un filtro teologico esclusivista, l'interpretazione che la dottrina tradizionale insegna rispetto all'unità essenziale delle Rivelazioni e alla loro "validità salvifica", per riprendere delle espressioni care al nostro maestro Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini, nella continuità degli insegnamenti di René Guénon, Shaykh Abd al-Wahid Yahya nell'Islam. Quest'ultimo fu proprio un faro della Luce divina della Tradizione per i nostri tempi, quelli della Fine, che visse al Cairo dal 1930 fino alla sua scomparsa nel 1951. Riposa oggi nella "città dei morti" della capitale egiziana, all'ombra della Grande Moschea e Università islamica al-Azhar, non lontano dall'Ufficio del Gran Mufti d'Egitto.

Incontro tra il Papa della Chiesa copta ortodossa Shenouda III e lo Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini, maestro spirituale della Tariqa Ahmadiyya Idrisiyya Shadhiliyya in Europa, e fondatore della COREIS, Comunità Religiosa Islamica Italiana

Permettetemi di condividere un altro aneddoto personale su questo argomento, riguardante precisamente l'ex Gran Mufti d'Egitto e il defunto Shaykh Abd al-Wahid Pallavicini. Nel marzo 2007, accompagnavo lo Shaykh Abd al-Wahid alla XIX Conferenza Internazionale del Consiglio Supremo degli Affari Islamici al Cairo, organizzata ogni anno dal Ministero degli Affari Religiosi della Repubblica Araba d'Egitto.

Durante i lavori del convegno, che riuniva rappresentanti delle organizzazioni islamiche di tutto il mondo, lo Shaykh Abd al-Wahid, in qualità di presidente della Comunità Religiosa Islamica Italiana, presentò un intervento intitolato "Del Principio e della Fine", nel quale ricordava, come sempre faceva, i principi spirituali fondamentali riguardo alla Trascendenza divina, la Verità assoluta che è Dio stesso, e l'incontro fra le religioni rivelate, in particolare quelle derivate dal "monoteismo abramico", soprattutto nella prospettiva escatologica della preparazione comune alla seconda venuta di 'Isa ibn Maryam, Gesù figlio di Maria (su di loro la Pace).

Lo Shaykh Abd al-Wahid affermava sin dall'inizio in modo estremamente chiaro: "Nel contesto del monoteismo abramico, ci è caro testimoniare la fede islamica, quell'Islam che ricapitola e conclude l'insieme di tutti i messaggi divini, riconoscendo la validità e l'autenticità delle religioni rivelate che lo precedono", citando un altro versetto chiave del Corano rispetto alla diversità religiosa:

A ciascuno di voi (ebrei, cristiani e musulmani) Noi abbiamo donato una Legge e una Via. Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica; ma Egli ha voluto mettervi alla prova con ciò che vi ha donato. Gareggiate tra voi nelle opere buone! Voi tutti a Lui ritornerete, ed Egli vi informerà allora su ciò su cui divergete. (Corano, V:48)

"La nostra speranza - scriveva lo Shaykh - è dunque di vedere le altre religioni riconoscere l'Islam come l'Islam le riconosce, al fine di realizzare insha'Allah, in un futuro prossimo, un riconoscimento reciproco prima della fine del mondo e della venuta dell'ultima Ora. Non si tratta qui di riconoscere la verità dogmatica di ciascuna religione né di trovare tra esse un accordo; si tratta piuttosto del riconoscimento della loro validità, ciò che permetterebbe a ciascuna di portare i suoi credenti alla salvezza. Questa è la risposta piu efficace contro il pericolo di quell'esclusivismo religioso che conduce inevitabilmente al terrorismo. Tale riconoscimento spirituale tra le religioni del monoteismo abramico è divenuto necessario nell'epoca in cui viviamo attualmente, un'epoca che è prossima alla fine dei tempi [...]".

"Il Corano -- continua lo Shaykh Abd al-Wahid - ribadisce l'esistenza della "tradizione immutabile o primordiale" (ad-dîn al-qayyim), cioè la religione eterna e unica presso Dio, sulla quale si fonda ciascuna religione autentica. La consapevolezza di questa realtà ci deve preparare alla ricongiunzione escatologica tra le religioni rivelate nell'attesa del ritorno di Sayyidna 'Isa (su di lui la Pace). Ancora una volta si deve considerare che questa attesa è comune. Infatti anche i cristiani attendono la seconda venuta di Gesù, cosa che corrisponde all'attesa del Messia da parte degli ebrei."

Queste dichiarazioni di un maestro sufi di fronte ad un'assemblea di studiosi musulmani non mancarono di suscitare reazioni, in alcuni casi critiche, contrapponendo una forma di "riduzionismo letteralista" alla chiarezza della testimonianza cristica e metafisica del nostro maestro. Ricordo che l'attuale Grande Imam Ahmed al-Tayyeb, all'epoca presidente dell'Università Islamica di al-Azhar, volle difendere lo Shaykh Abd al-Wahid citando anche altri referimenti tradizionali del Corano e della Tradizione profetica.

Infatti, secondo un detto profetico autentico, il Profeta Muhammad ha detto: "Io sono più di chiunque altro vicino a Gesù in questo basso mondo e nell'Aldilà. Non c'è alcun profeta fra me e lui. I Profeti sono come fratelli. Le loro madri sono differenti ma la loro religione è unica."

Questa religione unica è ciò che il Corano chiama al-dîn al-qayyim, "la Tradizione immutabile e assiale", che si è manifestata nella storia sacra dell'umanità in forme differenti. Secondo i sapienti musulmani, il principio della fede è uno, sono le giurisdizioni religiose che differiscono, secondo le epoche e i popoli. Le religioni rivelate sono concordi sull'essenziale, l'Unicità di Dio, solo i riti e le leggi sacre sono differenti.

A tale proposito, potremmo citare per esempio una esegesi del maestro Ismaïl Haqqi al versetto 19 della sura III: "In verità la religione presso Dio è la sottomissione nella pace alla Volontà divina (al-islâm)." "Ciò che va inteso [nella nozione] di rivelazione della Parola divina, è il richiamo assoluto alla vera Religione, e questa Religione dal tempo di Adamo fino al nostro Profeta non è altro che la sottomissione nella pace alla Volontà divina (al-islâm) secondo la Parola dell'Altissimo: "In verità la religione presso Dio è la sottomissione nella pace alla Volontà divina (al-islâm)". La sua realtà profonda è la realizzazione dell'Unicità divina (tawhîd), mentre le diverse leggi sacre, cioè le norme giuridiche di ispirazione divina, ne rappresentano le forme. Questa Religione, dall'era primordiale fino al Giorno della Resurrezione, è una e identica in tutte le religioni rivelate quanto alla sua realtà essenziale (al-haqîqa); la differenza riguarda solo la forma e le norme giuridiche ed è una differenza formale che non elimina né l'identità originaria né l'unità essenziale".

Nella Sua infinita misericordia e sapienza, Dio ha adattato la Sua parola e i Suoi messaggi in funzione delle necessità e delle situazioni dei popoli cui erano destinati. "A ognuno di voi abbiamo assegnato una Legge e una Via": il deposito divino per ogni comunità comprende, da una parte, un quadro tradizionale che governa gli aspetti esteriori della religione e della vita, garantendo la salvezza dell'anima, e, dall'altra, una via interiore e spirituale che orienta le coscienze e i cuori verso la conoscenza metafisica di Dio. Ogni comunità beneficia di propri riti religiosi, prospettive teologiche e metodi spirituali. Ogni comunità ha ricevuto i mezzi di salvezza e di realizzazione spirituale.

Il cuore del versetto 48 della sura V, citato dallo Shaykh Abd al-Wahid, così come il versetto 62 della sura II, citato dall'ex Gran Mufti Ali Gomaa, affermano con chiarezza non solo l'unità trascendente delle tradizioni, al di là delle differenze puramente formali, ma anche la validità delle loro rispettive leggi religiose e vie spirituali.

"Se Dio avesse voluto avrebbe stabilito una sola comunità", una sola legge sacra e una sola via spirituale. Ma Egli ha voluto invece diversificare i Suoi doni suscitando diverse comunità di fede, leggi religiose e vie spirituali, che provengono tutte da Lui e a Lui ritornano. I Suoi doni costituiscono allo stesso tempo una grazia e una prova per i credenti di queste comunità. La grazia di questo dono divino risiede nella rivelazione che rinnova per gli uomini la possibilità di conformare la loro vita alla volontà e alla verità di Dio; quanto alla prova, è inerente alla responsabilità dell'uomo, che deve sforzarsi di combattere le proprie passioni e cattive inclinazioni impegnandosi nella disciplina e nell'obbedienza alla vera religione, piegandosi alle regole della purificazione dell'anima.

Ma vi è ugualmente, nella pluralità stessa delle religioni, una prova nella fede per tutti i credenti. Sapranno riconoscere l'unicità della verità nella diversità delle sue rivelazioni? Sapranno accettare la volontà misteriosa di Dio rispettando le differenze provvidenziali delle religioni? Di fronte a questo mistero vi sono trappole e tentazioni: da una parte, l'errore del sincretismo, che vuole cancellare e uniformare la diversità voluta da Dio nella Sua saggezza e misericordia; di contro, l'errore dell'esclusivismo che tende a identificare la verità con una sola forma a discapito delle altre, dimenticando che le forme religiose sono relative, e che solo Dio è assoluto e Lui solo è la "Verità". Si veda il nostro articolo in commento al versetto 48 della sura V, “L’unicità di Dio e la diversità religiosa. Lo spirito dell’incontro interreligioso”, in La Via del Dialogo, edizioni Messaggero Padova 2017.

A margine della Conferenza Internazionale citata, dal carattere principalmente istituzionale, con lo Shaykh Abd al-Wahid abbiamo avuto il privilegio di essere ricevuti da Shaykh Ali Gomaa, all'epoca Gran Mufti d'Egitto, durante un colloquio privato nel suo ufficio al Consiglio della Fatwa. Conoscendo la sua sensibilità spirituale e la sua apertura intellettuale come eminente studioso contemporaneo nelle scienze islamiche tradizionali, sia esoteriche che exoteriche, essendo egli stesso maestro di un ramo della Tariqa Shadhiliyya Siddiqiyya, il nostro scambio riguardò precisamente il tema del dialogo tra le religioni e il riconoscimento reciproco della loro validità salvifica, alla luce dell'Unicità di Dio e della Tradizione immutabile e primordiale.

Ci sembra che il Gran Mufti apprezzò e acconsentì a questa visione delle cose, cercando come potesse essere tradotta in pratica per avere un impatto positivo nel dialogo tra i credenti delle diverse religioni. La proposta dello Shaykh Abd al-Wahid di organizzare un incontro con il Papa della Chiesa copta ortodossa Shenouda III ottenne un'accoglienza molto favorevole da parte del Gran Mufti. Purtroppo, alcune forze politiche e esclusiviste opposero resistenza all'iniziativa e impedirono la realizzazione di un tale incontro "al vertice", che avrebbe potuto avere un significato simbolico profondo e servire da esempio illuminato ispirando le comunità musulmana e cristiana in Egitto e oltre.

Lo Shaykh Abd al-Wahid aveva concluso il suo intervento al Cairo facendo riferimento alla complementarità delle dimensioni esteriore e interiore dell'Islam, sottolineando la necessità di una distinzione, senza alcuna opposizione, tra l'approccio teologico e questa prospettiva metafisica. In questo contesto, citò a buon proposito il maestro al-Ghazali, che fu contemporaneamente giurista, teologo e maestro del sufismo autentico: "La via e i mezzi che portano alla Conoscenza e alla Sapienza divina risiedono nella dimensione spirituale e interiore, dimensione che si trova in tutte le religioni autentiche, e che nell'Islam prende il nome di "tasawwuf". Conviene qui ricordare che l'interiore (bâtin) non si oppone affatto all'esteriore (zhâhir), che la Verità essenziale (haqîqa) non contraddice in nulla la Legge sacra (sharî'a), ma si oppone piuttosto a quel letteralismo che riduce i significati della conoscenza. A questo proposito, l'imam Muhammad Abu Hamid al-Ghazali (che Dio sia soddisfatto di lui) insegna: "L'uomo perfetto è colui nel quale la luce della conoscenza non spegne la luce della pietà scrupolosa."

Le "luci" della religione, della conoscenza e della pietà scrupolosa provengono da una sola e stessa fonte divina, rivelata nella nicchia della profezia per essere trasmessa attraverso le religioni. Nonostante ciò, l'accecamento dell'ignoranza e la miopia intellettuale sembrano diffondersi anche tra le comunità religiose, riducendo i significati dei testi sacri e la dimensione universale dei messaggi profetici, appiattendo la religione e neutralizzando le capacità della ragione sana. Tuttavia, persone illuminate in Oriente e in Occidente continuano a testimoniare la realtà dell'"occhio del cuore", la vitalità dello Spirito e la rilevanza della Tradizione, portando e rappresentando una misericordia particolare alla fine dei tempi, un messaggio di speranza prima dell'Ultima Ora, che anticipa la promessa della "ricompensa presso il loro Signore" e può dissipare tutte le paure e le tristezze.

Vorremmo concludere citando ancora lo Shaykh Abd al-Wahid: "Si parla molto al giorno d'oggi di "scontro di civiltà" o di confronto fra Oriente e Occidente; ma, in realtà, la sola opposizione reale è quella tra la spiritualità e il materialismo, razionalista o ateo che sia. La presenza di comunità di credenti in Occidente, alcune frutto dell'immigrazione, altre d'origine europea, costituisce il nuovo fondamento per un dialogo autentico e per la possibilità di scambi proficui tra l'Islam e l'Occidente. Esistono infatti in Occidente dei musulmani religiosi e moderati, la cui presenza rappresenta non soltanto un ponte tra mondi e culture differenti, ma altresì un punto di riferimento per i musulmani all'esterno, nella misura in cui questi musulmani europei rispondono alle esigenze attuali e danno un esempio concreto di uomini e donne che sanno unire la pratica religiosa sincera, l'integrità intellettuale e la conoscenza profonda del mondo contemporaneo".

Imam Abd al-Wadoud Gouraud Consiglio delle guide religiose della Comunità Religiosa Islamica Italiana (COREIS)