Gerusalemme. Una città fra Cielo e Terra
Fra tutti gli agglomerati urbani dalla storia millenaria, Gerusalemme rappresenta, forse, quello che meglio incarna – nel suo intreccio di popoli e culture non meno che nella sua vicenda tormentata, financo nella sua stessa topografia – l’epicità e la drammaticità dell’umana esistenza, traviata da appetiti mutevoli. Edificata in un luogo impervio, delimitato da colline scoscese, distante dai circuiti di traffico, la città sembra essersi opposta, nel tempo, al ruolo tutto sommato periferico che la geografia le aveva assegnato sin dalla propria fondazione per inserirsi con determinazione nella grande trama della Storia. Tutt’oggi al centro di tensioni irrisolte – le cui ragioni si comprendono nella legittima volontà di farne l’epicentro della propria autocoscienza –, ha conosciuto dominazioni molteplici, mantenendo intatto, tuttavia, quel legame fra Cielo e Terra che la caratterizza da tempo immemore, sì da diventare una sorta di “ombelico del mondo”, capace di forgiare le coscienze. Di generazione in generazione. Il mistero di tale fortuna trova spiegazione nella sua bifronte essenza, spirituale e materiale, conseguita mediante la continua risignificazione della sua dimensione spaziale e temporale. L’apparente contraddizione tra geografia e storia è andata storicamente risolvendosi nella sua trasformazione in un luogo simbolico. Il paesaggio si salda alla memoria collettiva, caricando la terra d’un valore ulteriore. Alture, rovine, vallette, burroni, monumenti, sepolcri: tutto rimanda ad altro, perpetrando, in un continuo gioco di specchi, quel moto di costruzione identitaria che ha nel sostrato abramitico – giudaico, cristiano, musulmano – il proprio motore. Ogni componente dello scenario urbano si carica d’una simbologia così pregnante da proiettarsi in una dimensione eterna, sospesa, atemporale. È come se ogni pietra, ogni muro, ogni frammento impregnasse l’aria con una profondità di significato in grado di procedere oltre la contingenza, creando un intreccio di simbolismi capace di sollevare l’osservatore dal locale all’universale.
Che tale coscienza affondi le radici nel testo biblico è un dato di fatto. Nel Deuteronomio (Devarìm), la città compare come il «luogo che il Signore vostro Dio avrà scelto fra tutte le vostre tribù, per stabilirvi il suo nome» (Dt 12,4-5). È, tuttavia, nel libro dei Salmi che Gerusalemme assurge a luogo cosmico, verticale almeno quanto orizzontale, scelto prima dei tempi, destinato a durare per l’eternità. Nessun altro posto riunisce in sé tali elementi. È quanto si legge, ad esempio, in Sal 46 (45),5-6:
5 Un fiume e i suoi canali rallegrano la città di Dio,
la più santa delle dimore dell'Altissimo.
6 Dio è in mezzo ad essa: non potrà vacillare.
Dio la soccorre allo spuntare dell'alba
Ma si pensi, altresì, ai versi di Sal 48 (47),2-4:
2 Grande è il Signore e degno di ogni lode
nella città del nostro Dio.
La tua santa montagna, 3 altura stupenda,
è la gioia di tutta la terra.
Il monte Sion, vera dimora divina,
è la capitale del grande Sovrano.
4 Dio nei suoi baluardi,
un baluardo si è dimostrato.
Il termine «Sion», associato, nel tempo, ad alture diverse, si apprestava per indicare estensivamente la città intera. Nel tempo, fu utilizzato come sinonimo, giungendo a identificare, per estensione, non solo l’agglomerato urbano ma il popolo intero. Quasi a mostrare plasticamente quel legame con la terra tutt’oggi affermato. È quanto suggerisce l’anonimo autore delle Lamentazioni, piangendo sull’esilio dei «figli di Sion» a seguito della conquista di Nabucodonosor del 587-586 a. C. Ma si pensi, altresì,, alle parole di Is 52,1-2, tra le più belle e significative di tutti i libri profetici:
1 Svegliati, svegliati,
rivestiti della tua magnificenza, Sion;
indossa le vesti più splendide,
Gerusalemme, città santa;
perché mai più entrerà in te
l'incirconciso e l'impuro.
2 Scuotiti la polvere, àlzati, Gerusalemme schiava!
Si sciolgano dal collo i legami, schiava figlia di Sion!
È l’esultanza per il ritorno dalla dispersione a favorire la trasfigurazione della città nel suo corrispettivo ideale. Ma è al luogo fisico che si pensa. Un elemento, questo, che segnerà indelebilmente l’esperienza ebraica Per queste osservazioni cfr. G. Ravasi, «La città si chiamerà YHWH SHAMMAH, là è il Signore!». Iconografia biblica della Gerusalemme celeste, in «La dimora di Dio con gli uomini» (Ap 21,3). Immagini della Gerusalemme celeste dal XIII al XIV secolo, a cura di M. L. Gatti Perer, Prefazione di C. M. Martini, Catalogo della mostra (Milano, Università Cattolica del S. Cuore, 20 maggio-5 giugno 1983), Milano, Vita e Pensiero, 1983, pp. 33-47; J. B. Russell, A History of Heaven: The Singing Silence, Princeton, NJ, Princeton University Press, 1997; S. Goldman, Zeal for Zion: Christians, Jews, and the Idea of the Promised Land, Chapel Hill, NC, 2014..
Il Cristianesimo ha ereditato tale prospettiva, recandola, tuttavia, alle estreme conseguenze. Le descrizioni contenute nella Bibbia ebraica facevano riferimento, sovente, alla trasformazione di luoghi reali, generalmente – ma non necessariamente – oggetto di teofanie, in spazi sacri capaci di trascenderne la collocazione fisica. L’immagine d’un modello “celeste” per la città “terrena” – l’immagine, dunque, d’una Nuova Gerusalemme, in procinto d’adagiarsi sulla Terra – risaliva, in effetti, all’apocalittica ebraica del periodo del Secondo Tempio. Con l’affermarsi della fede nella resurrezione, in età ellenistica, s’era diffusa, inoltre, l’idea per cui tale sarebbe stato il luogo dei salvati J. D. Levenson, Sinai & Zion: An Entry into the Jewish Bible . Orbene: i primi scrittori cristiani non fecero altro ch’esaltare tale idea, inserendo la Gerusalemme celeste nel piano divino. Ovvero, all’interno della Storia della Salvezza. La cancellazione dei principali luoghi sacri della tradizione giudaico-cristiana, fra il 70 e il 135, per opera di Tito, prima, di Adriano, poi, avrebbe rafforzato la convinzione dell’imminenza della sostituzione della città terrena, ormai irrimediabilmente perduta, con una nuova città. Certo, la Gerusalemme terrena figurava nelle narrazioni evangeliche e negli Atti degli Apostoli come il luogo in cui Gesù aveva trascorso i suoi ultimi giorni. Nonostante ciò, la città non fu immediatamente avvertita quale luogo precipuo della redenzione universale. Ciò sarebbe venuto più tardi. Echi della tradizione ebraica s’incontrano, a ogni modo, nella Lettera ai Galati, redatta, verosimilmente, fra il 54 e il 57, in cui Paolo menziona la dicotomia fra la «Gerusalemme attuale […], schiava insieme ai suoi figli», e la «Gerusalemme di lassù»: vera patria, libera dal male e dalla Legge. Tale dualità è approfondita sia dalla Lettera agli Ebrei, sia dall’Apocalisse, il cui commento, nel corso dei primi secoli cristiani, avrebbe contribuito alla cristallizzazione dell’idea d’una Gerusalemme escatologica, destinata a sostituirsi a quella attuale Per una sintetica analisi di tale percorso si veda, ora, A. Musarra, Fra Cielo e Terra. Gerusalemme e l’Occidente medievale.
Tale complessa elaborazione sarebbe stata accolta dal pensiero islamico. Non senza resistenze, però, dovute, in parte, al timore che l’importanza crescente assunta dalla città nell’ambito dei monoteismi concorrenti, quello ebraico e quello cristiano, potesse sostituire e, in certo qual modo obnubilare, la primogenitura meccana e medinese. Certo, a seguito della conquista, avvenuta attorno al 638 – si tratta d’una data supposta: i resoconti relativi sono tutti molto tardi –, la città sarebbe stata pienamente integrata nell’ambito della visione religiosa e teologica musulmana. Se, infatti, l’innesto della nuova fede sul ceppo giudeo-cristiano è da ritenersi indubbio – basti pensare al ruolo attribuito a Gerusalemme nel Giudizio finale –, altrettanto certo è l’avvio di tradizioni autonome riguardanti la città. Il pensiero islamico ne avrebbe riconfigurato il significato, concentrandosi, in particolar modo, sull’area del Tempio, il cui recinto avrebbe accolto alcuni tra i principali santuari della nuova fede. Com’è noto, il sacro Corano non menziona esplicitamente la città. Si presume vi alluda, tuttavia, in tre occasioni: in riferimento al viaggio notturno del Profeta («isrā»), datato fra il 619 e il 621, cui si accennerebbe nella sura XVII:1, alla sua ascesa ai Cieli («miʿrāj»), cui farebbero riferimento le sure LIII:1-12 e LXXXI:19-25, e là dove viene discusso il cambio di direzione della preghiera verso la Ka‘aba («qibla»), menzionato nella sura II:142-150 Si veda, ad esempio, S. Mourad, The Symbolism of Jerusalem in Early Islam, in Jerusalem. Idea and Reality, cit., pp. 86-102; N. Khalek, Jerusalem in Medieval Islamic Tradition. L’al-Haram al-Qudsī al-Sharīf, il “Nobile Santuario”, è uno spazio sacro per l’Islām, visitato, ogni anno, da decine di migliaia di perone. E ciò, a motivo della sua identificazione col luogo dal quale il Profeta sarebbe partito per il proprio “viaggio notturno”. La città, dunque, si pone quale punto di contatto tra la Terra e il Cielo, diventando oggetto di “visita” («ziyāra») l’atto devozionale con cui i devoti musulmani si recano in una località legata alla storia sacra, non obbligatorio – come il pellegrinaggio alla Mecca, da compiere una volta una volta nella vita – ma meritorio e, dunque, raccomandato In generale, per la prima dominazione musulmana, cfr. Bayt al-Maqdis, I, Abd- al-Malik’s Jerusalem, a cura di J. Raby e J. Johns, Oxford, Oxford University Press, 1992; E. Amikam, Medieval Jerusalem and Islamic Worship. Holy Places, Ceremonies, Pilgrimage, Leiden, Brill, 1995; S. D. Goitein, al-Kuds, in Encyclopédie de l’islam, Leyden-Paris, Brill-Maisonneuve et Larose, 1995, pp. 297-301; The History of Jerusalem: The Early Muslim Period, 638-1099.
Gerusalemme, dunque, è il proscenio su cui si svolge un perpetuo dramma tra ciò che è circoscritto tra le sue mura e ciò che continuamente le trascende. Al suo interno, una selva di miti e di riti, la cui influenza semantica permea i molteplici ambiti dell’esperienza umana. Sin dalle Scritture ebraiche, assume i contorni d’una città ideale, ulteriore, terrena e celeste al tempo stesso. Una città orizzontale, sì, ma altrettanto verticale. Capace, cioè, di esemplificare quella relazione tra Dio – il Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; il Dio Padre di Gesù; il Dio di Mu_ḥ_ammad – e gli esseri umani. Una città ordinaria eppure straordinaria, dove il passato e il futuro si congiungono, la storia umana e quella sacra si mescolano: «Sì, il mio paese è il più prestigioso – scrive al-Muqaddasī nel X secolo nel suo Aḥsan at-taqāsīm fī ma῾rifat al-aqālīm (“La miglior divisione nella conoscenza delle regioni”) –, perché esaudisce i desideri di questo mondo e dell’altro: chi è di questo mondo e aspira all’aldilà vi sentirà il suo appello; chi viveva per l’altro mondo e si sente ripreso dai beni di questo, ve li ritroverà» Al-Muqaddasī, avec la complicité de A. Miquel, Un Palestinien sur la route. Le monde musulman vers l’an mil, Paris, Sindbad, 2008, p. 74; ma si veda, altresì, A. Miquel, La géographie humaine du monde musulman jusqu’au milieu du 11e siècle, 4 voll., Paris-L’Aia, Éditions de l’École des Hautes Études en Sciences Sociales, 1967-1988. Siamo di fronte, insomma, non solo e non tanto al luogo scelto da Dio per manifestarsi nella storia ma a quello in cui la Sua presenza è abituale: il luogo in cui Egli ha posto la propria Tenda, per albergarvi in eterno. Luogo sacro per eccellenza. Luogo di convergenza di tutta l’umanità. Centro del mondo intero. È su questi presupposti, pertanto, che si gioca il tentativo continuo di appropriarsene con la forza Una riflessione complessiva al riguardo è fornita in Jerusalem: Idea and Reality. Ci sarà mai pace per Gerusalemme? La speranza – se di speranza si può parlare – è che la conoscenza della sua stori e delle molteplici tradizioni che la riguardano possa fungere da antidoto rispetto al tentativo di appropriarsene in maniera esclusiva. Come non terminare, dunque, con le parole del salmista (Sal 122 [121], 6-9):
Chiedete pace per Gerusalemme:
vivano sicuri quelli che ti amano;
sia pace nelle tue mura,
sicurezza nei tuoi palazzi.
Per i miei fratelli e i miei amici
io dirò: «Su di te sia pace!».
Per la casa del Signore nostro Dio,
chiederò per te il bene.