Democrazia e Ecclesialità

Un comunitarismo ecclesiale aperto e aderente ai valori democratici

Democrazia e Ecclesialità

Riportiamo di seguito l'intervento del vescovo metropolita Grigorios Papathomas Vescovo della Chiesa ortodossa di Grecia, Metropolita di Peristeri (Atene), Professore abilitato alla direzione delle ricerche in Diritto Canonico presso la Facoltà di Teologia dell’Università di Atene, presso la Facoltà ortodossa di Teologia dell’Istituto San Sergio di Parigi e presso ERASMUS-GRATIANUS (Facoltà di Diritto Jean Monnet a Parigi IX - Sud Saclay) e membro dell’Alto Consiglio dell’AIDOP (Agenzia Internazionale Diplomazia e Opinione Pubblica). pronunciato il 14 maggio a Berlino in occasione della conferenza internazionale "How can interreligious engagement help to re-invigorate the European democracies"

Status Quæstionis

Mi trovo oggi davanti a voi, invitato per la seconda volta a questo importante incontro internazionale, organizzato dalla Presidenza del Liechtenstein, del Comitato dei Ministri e il Consiglio d'Europa, in collaborazione con l'Ufficio del Commissario del Governo Federale per la Libertà di Religione e di Fede del Ministero Federale Tedesco per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, che ringrazio di cuore per l'onore che mi hanno fatto. Il titolo generale di questa conferenza, "Come può l'impegno interreligioso contribuire a rinvigorire le democrazie europee?", si riferisce a un tema di grande importanza, che riteniamo direttamente legato al modus vivendi ipostatico della Chiesa stessa, ovvero la sua ecclesialità di fronte all'ideale democratico che caratterizza le democrazie europee più che altrove. L'oggetto del mio studio e della mia ricerca è il diritto canonico, e si tratta quindi di argomenti che ho affrontato attraverso la tradizione ortodossa con cui ho convissuto fin da giovanissimo, perché sono cresciuto in essa e con essa. Prima di entrare nel vivo di questa presentazione, che qui viene fatta da un punto di vista cristiano, ma in una prospettiva di relazioni interreligiose positive, è necessario richiamare alcune nozioni di base sulla correlazione che ancora deve essere esaminata tra democrazia ed ecclesialità, tema fondamentale per lo spazio europeo, per poter entrare nel vivo dell'argomento proposto.

Per parlare del rapporto tra l'essere della democrazia e l'essere della Chiesa cristiana, dobbiamo innanzitutto studiare i presupposti che pongono democrazia ed ecclesialità in una relazione positiva e creativa. In effetti, la questione del rapporto tra questi due aspetti della vita umana, la democrazia e l'ecclesialità (o democrazia e sinodalità), si pone ancora oggi, anche se nel corso dei secoli la questione è stata chiarita in modi concreti e dottrinali chiaramente rilevanti. Il chiarimento terminologico è quindi qui significativo, così come la visione delle convergenze tra queste due realtà per individuarne i punti di convergenza per il bene comune di tutti.

Per cominciare, la parola "demos", l'ateniese δήμος, che significa "assemblea del popolo", ha la stessa origine della parola δέμας, "demas", che in greco significa "corpo". Di conseguenza, queste due parole si riferiscono comunemente a una comunità di esistenza, pensiero e azione. Come il corpo umano, unico e singolare, funziona in comune e le sue membra sono armoniosamente legate gli uni agli altri, così i membri di un'assemblea o di una comunità di un popolo funzionano come un corpo e i suoi membri sono in linea di principio armoniosamente legati gli uni agli altri. Sulla base di questo concetto ben strutturato, l'apostolo Paolo ha adattato la nozione di popolo di Dio come corpo al nuovo "demos", non il "demos" sociale, ma il popolo di Dio, la Chiesa Vedere in particolare Rm, cap. 12 e 1 Co, cap. 12.. Questo fatto ha ramificazioni positive per i membri della Chiesa in termini di apertura e di sviluppo di relazioni reciproche con gli altri.

Dobbiamo quindi chiederci: qual è il legame tra questi due parametri della vita umana, il "demos" sociale e il "demos" ecclesiale? Esamineremo brevemente questa domanda da tre punti di vista, partendo innanzitutto dal "principio di maggioranza", che costituisce l'elemento fondamentale della condizione democratica e del parlamentarismo moderno. Si tratta infatti di chiarire l'aspetto - unico nel suo genere - dell'ecclesialità: questo aspetto contiene una dimensione specifica del sacro divino-umano, e dove questa sacralità specifica fa luce sul suo rapporto originario con il demos del popolo di Dio, distinto dal demos sociale.

I. L'Antichità ellenica dei Filosofi

Se torniamo all'antichità, non troviamo alcuna traccia del principio di maggioranza nell'antica tradizione ellenica, che si dichiara "democratica". Successivamente, per distinguere ciò che è giusto da ciò che è falso, il mondo occidentale si è affidato al principio di autenticità, alla prova infallibile, alla regola della maggioranza e all'utilità del risultato. Per i filosofi ellenici dell'antichità, questi principi erano sconosciuti e del tutto inconcepibili. La verità si stabilisce quando tutti sono unanimemente d'accordo e tutti la testimoniano (cioè quando tutti condividono la stessa opinione e tutti trasmettono la propria esperienza).

Partiamo da un paradigma. Democrito dice che se io dicessi, davanti a un vaso di miele, che il contenuto del vaso è amaro, mi si direbbe che sto mentendo, che mi sto allontanando dalla verità, non perché ci sia una forza o qualcuno al di fuori e al di sopra di noi che decide cosa è dolce e cosa è amaro, ma semplicemente perché l'esperienza di tutti testimonia che il miele è dolce. Quindi, se sostengo il contrario, non sono d'accordo con te, perché non condivido la tua esperienza. È qui che inizia la democrazia per gli antichi greci. Eraclito di Efeso scriveva: "Quando tutti contribuiscono alla prova comune affinché la vita sia vera, allora la verità non è una questione di maggioranza, ma di condivisione, di consenso sull'esperienza comune". La maggioranza è valida e ha un valore reale quando è al servizio della verità. Ma la maggioranza autonoma o autonomizzante può facilmente dirottare l a verità. È proprio per questo che non dobbiamo avere una maggioranza senza verità. Altrimenti, la maggioranza può facilmente servire la menzogna o l'alienazione.

II. La Teologia ecclesiale

Siamo ora invitati a fare una distinzione tra "democrazia" ed "ecclesialità". La Chiesa rientra nel democratico? È possibile rispondere sia "sì" che "no". "Sì", perché l'ecclesialità porta in sé e rappresenta l'ideale democratico come modus vivendi socio-personale e socio-universale. "No", nella misura in cui la democrazia presuppone un'unica dimensione, solo quella orizzontale (demo-crazia); mentre la dimensione verticale le sfugge, come è ben visibile nel Nuovo Testamento e, più in particolare tra gli altri, negli Atti degli Apostoli e, non a caso, durante il Sinodo apostolico di Gerusalemme (451), quando si dice: "Lo Spirito Santo e noi stessi abbiamo deciso..." Vedere in particolare Rm, cap. 12 e 1 Co, cap. 12.. In altre parole, la democrazia è incompatibile con la vita del corpo ecclesiale, perché la democrazia rimane eonistica Dal termine éon (αιών), l'era, il secolo, il tempo: secolarismo (del "sæculum"). Il termine eonismo designa la mentalità degli uomini che, sicuramente, credono in Dio, ma che nonostante ciò non possono (Ef 2,2) fare di tale Dio ["pantocrator" (cf. Il Credo)] il "centro della loro vita" (abba Doroteo), la qual cosa (Mt 13, 22; Mc 4, 19) implica, come conseguenza reale una "prospettiva eterocentrica" (un rifiuto di Dio nella trascendenza), vale a dire allontanante (2 Co 4, 4) da questo Dio "per amore dell'éon presente" (2 Tm 4, 10) e colloca l'uomo (Lc 20, 34) nella dimensione "di questo mondo" (Gv 18, 36-37). Si tratta di una categoria intra-creazionale, ovvero relativa al lato di ciò che ha forma -- ma dimenticandosi della sua prospettiva escatologica (Ef 1, 21; Eb 6, 5; Tt 2, 12) -- sul modello (Rm 12, 2) [civitas terrena] "di questo mondo" (escatologico cosmologico, secolare), o ancora attribuendo una priorità a questo secolo sul secolo a venire. L'eonismo è prima di tutto una riduzione dell'uomo al mondo, alla storia e alla natura. Infine, l'eonismo ecclesiastico non lascia alcuno spazio all'imminenza escatologica. Non vuole trovare la sua giustificazione che nel tempo e nel mondo presenti. Ne consegue una concezione modernista della societas perfecta, cf. infra. Segnaliamo che nel cattolicesimo romano, a partire dal papa Leone XIII, si è consolidata una concezione teologica, diremmo volentieri teantropica cristiana, della categoria di società perfetta: si veda Emmanuel de Valicourt, La société parfaite, catégorie de la modernité, catégorie théologique, Tesi codiretta dai professori Jean-Paul Durand e François Jankowiak della Facoltà di Diritto Canonico dell'Istituto Cattolico di Parigi e della Facoltà di Diritto Jean Monnet dell'Università Paris-Sud Saclay, 7 dicembre 2016, 854 pagine dattilografata, in corso di pubblicazione. e rappresenta un monofisismo, se non politico, almeno teologico. Essa può realizzarsi ed è completa come sistema *poli-*tico, ma resta comunque carente, soprattutto quando pretende di sostituire l'ecclesialità divino-umana: quest'ultima resta, per chi riesce a viverla (metessi dal greco methexis che significa "partecipazione"), la via vitale, sia per il "secolo presente" che per il "secolo che verrà".

Inoltre, la democrazia rimane profondamente scelta dagli esseri umani, ma certamente non carismatica. Infatti, la democrazia rifiuta il carisma: fa derivare l'autorità dalla volontà del popolo. Nella Chiesa, la qualità episcopale è carismatica (anche se il popolo ha scelto il suo vescovo), perché il vescovo riceve un ministero (carisma costitutivo e ricapitolativo della sua Chiesa locale) da un Mistero santo (chirotonia) della Chiesa, e lo esercita in comunione sinodale con l'insieme dei vescovi della Chiesa, partecipando a un sinodo locale. La nozione teologica di sinodalità è ben altra cosa che la democrazia. Infine, la democrazia pretende di giustificarsi tramite l'umanesimo. Ma propone un umano-centrismo che è l'opposto del teatropismo cristiano: l'uomo che aspira a essere Dio vuole sostituirsi al Dio fatto uomo.

È tuttavia un'impasse qualificare la Chiesa con questa nozione di umano-centrismo, perché essa è un'altra cosa.

Il "demo-cratico" costituisce certamente un'alta concezione umana della vita poli-tica, cioè pubblica (e di conseguenza del diritto) in una prospettiva fondamentalmente orizzontale (démos) che riguarda l'instaurazione di una "società perfetta" (societas perfecta) avente come scopo il servizio all'uomo -- l'"essere democratico", nucleo essenziale di questa prospettiva -- nei rapporti di uguaglianza (diritti-kratos [stato]) e di rispetto reciproco (doveri-démos) comunemente imposti e accettati dallo stesso démos (cfr. la concezione contemporanea dei Diritti Umani e il dualismo imposto: diritti-obblighi, che da questi discende).

Ma "l'ecclesiale" è fuori da questa dimensione naturalista modernista e altrettanto lontano da ogni "ecclesio-crazia". Perché? In quanto evento costitutivo di una comunità storica come realtà escatologica nella storia -- ed è una realtà che si realizza costantemente in Cristo e nello Spirito Santo -- l'ecclesialità è molto diversamente profonda e molto diversamente vitale. Come istituzione nella storia, la Chiesa non cade sotto il diritto "demo-cratico" e il diritto "teo-cratico", ma sotto il diritto "teo-andrico" [anche divino-umano]. Ora, questo "teo-" della Chiesa è dato solo in Cristo (nello Spirito Santo); e la realtà "Cristo" (o meglio, l'evento-Cristo) implica allo stesso tempo la realtà umana nella sua integralità, e la realtà divina ασυγχύτως ("inconfutabile") e αδιαιρέτως ("indivisibile"). L'"Io" della Chiesa non rappresenta un aspetto separato o diverso da quello rappresentato dall'"Io" del Cristo stesso. In quanto realtà pienamente orizzontale e verticale allo stesso tempo, la Chiesa non ha però il suo diritto (né il suo "Io") da se stessa, né lo deriva dal "demos ecclesiale". Sebbene assicuri una profonda comunione tra gli uomini, questa si realizza solo passando attraverso la comunione misterica con Dio Cf. 1 G 4, 7-21..

Anche qui, basta guardare quali sono i "rapporti dell'uomo con gli altri uomini, il suo prossimo [synanthropes], e con Dio» (Abba Doroteo): la Chiesa, come [e in quanto] Regno -- e anche le icone -- diviene infine una realtà esplicitamente unidimensionale. Abbiamo la dimensione del Regno che verrà, dove l'increato è in piena comunione ontologica con il creato.

La Chiesa, infatti, ha come meta la pienezza escatologica, già inaugurata nella Storia: il Regno che "c'é già e non ancora" realmente presente, anche se nascosto Cf. Mt 11, 25., Così, "essere democratico" e "essere ecclesiale" non possono mai essere paragonati. Il primo -- strettamente storico -- potrebbe inscriversi nel secondo -- che resta fondamentalmente escatologico; ed è per questo motivo che lo storico non può mai essere confuso con l'escatologico e ancor meno soppiantarlo. Tutta via non bisogna mai dimenticare che l'aspetto democratico resta decisamente una realtà storica, ma anche evidentemente un'utopia escatologica.

III. La Tradizione canonica conciliare (sinodale)

Durante i Concili ecclesiali, quello apostolico dell'anno 49 Vedere At 15, 1-35., e quelli locali o ecumenici dal III al IX secolo, se gli apostoli con i presbiteri o i vescovi si riuniscono, non è al fine di esporre la loro opinione o la loro "posizione" o -- come si dice comunemente -- il proprio "punto di vista", né imporre la propria opinione mediante il principio di maggioranza. Perché si tratta di manifestare l'esperienza vissuta, e di darne testimonianza, in ragione della loro esperienza personale tramite la partecipazione (methexis) al corpo mistico di Cristo. È dunque a causa dell'esperienza del corpo ecclesiale che essi stessi ricapitolano. Ecco perché è accaduto che i Concili locali ed ecumenici che riuniscono i vescovi -- e che, a volte, rappresentavano la maggioranza -- siano stati, a posteriori, respinti dalla "coscienza" della Chiesa; i vescovi sono tornati nelle loro province e il corpo ecclesiale li ha semplicemente allontanati: non perché avessero violato qualche principio ideologico, ma perché in questo caso non rappresentavano il corpo ecclesiale. In un certo senso è come il miele: "Se ci dici che è amaro, ti taglieremo fuori dalla comunità [cf. la formula canonica della stessa epoca: "esclusi dalla comunione"], noi ti rifiutiamo".

È opportuno fare qui un richiamo. La Chiesa cammina sulle orme dei santi e si esprime attraverso la loro bocca. I santi non sono individui, sono persone. La differenza non è solo teorica: quando un uomo è vero, tutta la nostra umanità ne è ampliata. Vediamo quindi nella persona del santo colui che tutti desideriamo diventare e, poiché lui ci è riuscito, tutti possono riuscirci. Quando vediamo un uomo santo, ci sentiamo in lui. Ci porta con sé e ci conduce un po' più lontano.

È del resto il principio dell'unanimità, posto a base della vita e dell'esperienza ecclesiale, del vissuto e della partecipazione all'esperienza della Rivelazione nel corso dei secoli. Principio che nei sinodi della Chiesa primitiva e antica fu ritenuto il criterio decisivo delle decisioni sinodali (Sinodo Apostolico di Gerusalemme; At 15, 25) Nella sua decisione finale ed epistola ai Cristiani di Antiochia (15, 23-29), il Sinodo apostolico dichiara: «[...], dopo essere stati riuniti tutti insieme, abbiamo deciso all'unanimità [...]»; sottolineatura nostra.. Questa pratica era in uso durante i primi tre secoli. È notevole che i Concili, che si tennero dall'epoca di San Cipriano, sembrano essere stati retti dal principio dell'unanimità. Ora vediamo svilupparsi una prassi e una tradizione di unanimità sinodale. Questa durò ben tre secoli, vale a dire dal Sinodo apostolico di Gerusalemme (49) fino almeno al Concilio locale di Antiochia (341) Vedere infra., nel corso del IV secolo.

Tuttavia, è dal IV secolo in poi che questa realtà ecclesiale si modifica prima di assumere un'altra forma o meglio un altro contenuto. In effetti, i canoni del IV secolo, che potremmo utilizzare per studiare questo problema, riflettono il passaggio -- e ciò dopo la data cruciale dell'Editto di Milano (313) -- dall'unanimità sinodale alla maggioranza sinodale. Si tratta del VI canone del Primo Concilio Ecumenico di Nicea (325) e del XIX canone del Concilio locale di Antiochia (341). Ciò che è molto interessante è che questo stesso Concilio locale di Antiochia conferma anche l'unanimità sinodale (canone XV: "[...] vale a dire che tutti i vescovi dell'eparchia erano unanimi nel portare un giudizio"), rispetto alla maggioranza sinodale (canone XIX: "[...] sia osservato il voto della maggioranza"). Tale fatto riflette proprio la trasformazione avvenuta nel corso del IV secolo. Ciò detto, il principio dell'unanimità resta un dato canonico, ma non è questo principio che deve essere esaminato in questa sede, perché è importante esaminare qui questo nuovo famoso principio della maggioranza; deve essere esaminato e analizzato in via prioritaria.

Innanzitutto, il testo del VI canone del I Concilio Ecumenico di Nicea che parla dell'elezione dei vescovi, in definitiva, è così concepito:

"[...] d'altronde, essendo stata effettuata l'elezione episcopale in comune con discernimento e in modo conforme al canone ecclesiastico, anche se due o tre sono in opposizione per puro spirito di contraddizione, si osserva il voto della maggioranza".

Il secondo canone, che dobbiamo anche qui esaminare, fa quindi un passo avanti nella direzione di rafforzare il potere del Sinodo. Il XIX canone di Antiochia fa ugualmente riferimento alle elezioni e alle consacrazioni dei vescovi che appaiono legate alla formazione dell'istituzione sinodale. Leggiamo in questo canone:

"Un vescovo non può essere eletto senza il sinodo e senza la presenza del metropolita dell'eparchia; oltre alla presenza indispensabile di quest'ultimo, è comunque necessaria la presenza di tutti i Vescovi concelebranti dell'eparchia, che il Vescovo metropolita avrà convocato per lettera. Se verranno tutti, sarà meglio; se ciò risulta difficile, è assolutamente necessario che sia presente la maggioranza dei vescovi o invii per iscritto il proprio assenso alla consacrazione, affinché la chirotonia avvenga, o alla presenza della maggioranza, o con la sua approvazione scritta. Se si contravviene a quest'ordine, la chirotonia non avrà alcun valore. Se invece tutto avviene secondo questo ordine, e alcuni si oppongono per spirito di contraddizione, si osservi il voto della maggioranza".

Nel VI canone del I Concilio ecumenico di Nicea, così come nel XIX canone del Concilio locale di Antiochia, è quindi il principio di maggioranza ad essere menzionato, ma solo come ultima istanza, e a condizione che le motivazioni degli avversari siano vili e interessate. In caso contrario, i Concili/Sinodi, che prendono le loro decisioni a maggioranza, e non all'unanimità, possono veder messa in discussione la loro autorità, a meno che non venga dimostrato, come previsto nel XIX Canone di Antiochia, che la minoranza ha agito a causa di una "particolare disputa". In altre parole, è a partire dal IV secolo che la Chiesa "diventa", poco a poco, più "maggiorito-cratica" o diventa più "aritmo-cratica", e quindi diventa più ...demo-cratica!

Infatti, "se confrontiamo il XIX canone di Antiochia con il IV canone del I Concilio Ecumenico, che si riferisce anche alle elezioni e alle chirotonia dei vescovi, appare chiaramente che il canone di Antiochia costituisce, con notevole esitazione, un passo in direzione del rafforzamento del potere del Sinodo a scapito della Chiesa locale. Questo importante passo consiste nell'introduzione (per la prima volta?) del principio di maggioranza nell'istituzione sinodale. Questo principio solleva seri problemi ecclesiologici, perché implica che la quantità sia un criterio decisivo dell'unità della Chiesa; il che va contro il carattere ("ethos") dell'ecclesiologia antica (è molto probabile che a quel tempo gli eretici fossero in maggioranza). Il principio della maggioranza, che è alla base dell'ordinamento secolare dei regimi democratici, rischia di trasformare l'istituzione sinodale in una istituzione puramente giuridica; questa è la ragione per cui non venne applicato questo principio di maggioranza nei sinodi della Chiesa antica, se non quando tutti i tentativi di raggiungere l'unanimità risultarono infruttuosi" J. D. Zizioulas, "L'institution synodale: problèmes historiques, ecclésiologiques et canoniques", in Mélanges en l'honneur du Métropolite Barnabé de Kitros, Atene, 1980, p. 176 (in greco). Oppure, dello stesso autore, "L'institution synodale. Problèmes historiques, ecclésiologiques et canoniques", in Istina, t. 47, n° 1 (2002), p. 28-29; sottolineatura nostra.. È lo stesso problema che si pone oggi per l'insistenza che certe Chiese ortodosse territoriali, patriarcali o autocefale, pongono sul numero dei fedeli, per rivendicare di conseguenza o diritti di precedenza nella taxis canonica della Chiesa, o diritti di responsabilità all'interno della stessa "Diaspora" ortodossa. [Cfr. il famoso "Mito dei grandi e dei piccoli"].

Inoltre, «i sinodi che esprimono l'unanimità e la comunione di tutti i vescovi "diffusi in tutto l'universo" Cf. l'analoga norma canonica concernente la Chiesa nei canoni 57 del Concilio locale di Cartagine (419) e 56 del Concilio ecumenico Quinisesto in Trullo (691); riferimenti aggiunti da noi., godono di suprema validità e autorità, dato che tali sinodi sono stati definitivamente approvati dall' "Amen" del popolo di Dio. È così che l'istituzione sinodale potrà ritornare alla sua fonte, che è anche fonte ed espressione ultima di tutta l'unità della Chiesa, cioè alla comunione eucaristica. Così come, nella divina Eucaristia, l'"Amen" del popolo di Dio è tra le condizioni sine qua non che definiscono la sostanza ecclesiologica degli atti celebrati (per gli ortodossi non è consentito che la divina Eucaristia sia celebrata dal solo sacerdote), anche nel sistema sinodale è essenziale il consenso del popolo. Bisogna, però, sottolineare che l'autorità e la validità delle decisioni e degli atti sinodali non trovano la loro fonte nel popolo (come avviene nella democrazia), ma in Dio, per l'intermediazione dei vescovi, nella comunione della Chiesa" Ibid. [Mélanges...], p. 182, e nota 41. Si veda anche ibid. [Istina...], p. 35, e nota 41; sottolineatura nostra..

Conclusioni

  • Ecco, dunque, qualche parola concernente il rapporto esistente fra la democrazia e l'ecclesialità,che può essere un criterio manifestamente evidente per il nostro modo di partecipazione (methexis)all'avvenimento unico della via ecclesiale che si manifesta con delle caratteristiche comuni, corrispondente manifestamente alla struttura e la via democratica. In altri termini, di primo acchitosi constata non solamente una compatibilità fra democrazia e ecclesialità ma anche una situazionestrutturale di interscambio tra i due aspetti. Sarà dunque interessante tirare qualche conclusione pratica e utile per il nostro sforzo comune in conformità con ciò che si viene a presentare più sopra nel contesto delle nostre riflessioni e nel nostro approccio comune qui oggi.

  • Da subito si constata una similitudine e una continuità democratica dell'Antichità ellenica, presentata sopra in modo dettagliato, all'interno della Chiesa cristiana indivisa del primo millennio.La filosofia ellenica, l'ecclesialità biblica e il diritto romano sono le fonti principali comuni, che hanno contribuito a una sintesi che si vuole comune e parallela fra la democrazia e l'ecclesialità, per il bene comune.

  • All'interno della stessa Chiesa cristiana indivisa, il principio dell'unanimità, adottato durante i primi quattro secoli dell'era cristiana dalla Chiesa, così, che anche per il seguito, il principio di maggioranza, proposto di fatto dai Concili ecumenici e locali (IV-IX secolo), hanno ispirato durante il secondo millennio la struttura del parlamentarismo moderno delle società democratiche contemporanee. Ora ai giorni nostri, questi stessi principi di funzionamento sono sempre adottatisia nello spazio ecclesiastico che nello spazio democratico dello Stato contemporaneo.Così anche l'ecclesialità, tramite i suoi mezzi secolari, simili o identici, secondo i casi, alla democrazia, contribuisce da parte sua a permettere il funzionamento delle istituzioni democratichenello spazio pubblico. Nella stessa direzione delle cose, il terreno ecclesiale è fertile per una tale prospettiva di ingaggio religioso, per contribuire al rafforzamento di una cultura della democrazia attraverso questa, formata tanto conciliarmente che pastoralmente attraverso i secoli dalla Chiesa stessa. Questa qualità non è solamente una eredità ma anche undeposito, che possono essere sfruttati in collaborazione con le istituzioni statali delle democrazie europee per il profitto e la pace della società democratica; basterebbe soltanto riattivare questa qualità).

  • All'interno della Chiesa ortodossa particolarmente, l'ethos cristiano e la mentalità ecclesiale,presentati sopra, ispirano nella loro vita quotidiana come nella loro vita relazionale i membri delle nostre comunità ecclesiali ortodosse di acquisire i principi democratici del dialogo interreligioso e interculturale, di rispetto mutuale, di presa di posizione cristica di reciprocità, come di una apertura a tutte le forme di diversità, quali principi già conosciuti e applicati alla interno della dichiarazione ufficiale del VII Concilio ecumenico di Nicea (787), notamente con il suo canone VIII, una dichiarazione conciliare esemplare e fraterna di fronte agli Ebrei -- piccola comunità minoritaria all'epoca -- che era a quel tempo minacciata di morte dall'imperatore romano.Questo Concilio ecumenico della Chiesa in effetti era intervenuto per proteggere gli Ebrei tramite una presa di posizione molto ferma, che da diacronicamente l'esempio di rapporti promettenti interreligiosi e il modello di quelli che noi chiamiamo oggi dei "valori democratici", ovvero la fraternità, l*'uguaglianza* di tutti i cittadini dell'Impero romano come la libertà di coscienza e di religione, dichiarata già ufficialmente e conciliarmente mille anni prima della Rivoluzione francese (787  1789) Vedere il nostro articolo "Christianity and Human Rights before and after the Canon 8/VIIth. The Christian and the "other", the "any other" (Gal 5:15)-Il cristianesimo del Canone 8 del VII Concilio ecumenico di Nicea II (787). Il Cristiano e l'Altro, quale che sia l'altro differente (Ga 3, 28) (Il contenuto ontologico del Canone 8/VII)" in Annuario scientifico della Facoltà di Teologia dell'Università di Atene, vol. 48 (2013), p. 281-307 (in inglese) e in Teologia [Romania], n. 4 (2013) [27 p.] (in inglese)..Questo avvenimento e queste decisioni conciliari costituiscono un modus vivendi per i fedeli e membri della Chiesa di tutte le epoche e oggigiorno, un messaggio e una lettura didattiche(si insegna ugualmente la stessa cosa nelle nostre Facoltà di Teologia) e un ingaggio cosciente nello stesso tempo per confermare la loro fede ed il loro modo di partecipazione non solamente all'interno del "demos" ecclesiale ma anche all'interno dell'"demos" sociale.

  • Analogamente, i tre livelli della sinodalità ecclesiale (metropolitano, autocefalo-patriarcale, pentarchico) costituiscono agli inizi una struttura comunionale e amministrativa fondamentalmente democratica. È sufficiente riguardare i Canoni ecclesiastici (Corpus Canonum 833 della Chiesa cristiana indivisa del primo millenio, da notare i I-325, III-431, IV-451 e Quintosesto-691 Concili ecumenici), come anche ai giorni nostri, le Carte statutarie delle Chiese territoriali ortodossi, che salvaguardano tutte le caratteristiche "ecclesiali-democratiche" dell'insieme della loro vita istituzionale e che prevedono, in oltre, un policentrismo ecclesiale del tipo comunionale, come un pluralismo ecclesiale****di diversità multinazionale fondamentalmente democratiche, che rinvia alla accettazione promettente tra i fedeli della esistenza anche di un pluralismo religioso.

  • Di più, la nostra teologia ecclesiale e la nostra pastorale ortodossa, se vogliono restare salvatrici,senza rinnegamento e senza divenire una ideologia, non possono che essere in dialogo permanente con gli altri (persone o istituzioni), ma anche in apertura in rapporto al mondo "intero".Ora, dialogo con tutti e apertura a tutti, intra et extra muros, coloro che sono vicini e coloro che si trovano lontano, all'interno e all'esterno della Chiesa. Si tratta di un dialogo dai molteplici aspettiche comporta almeno quattro aspetti fondamentali: 1) il dialogo interortodosso, 2) il dialogo intercristiano, 3) il dialogo interreligioso, 4) il dialogo interculturale Vedere il nostro articolo "Église en Dialogue" in Épiskepsis [Ginevra], t. 40, n° 707 (31-12-2009), p. 26-29 e p. 24-27 (bilingue: in greco e in francese) e in Usk ja Elu [Tallinn], t. 9 (2011), p. 65-68 (in estone)..